Riforma pensioni/ Furlan: il Governo non ha detto una parola

- Lorenzo Torrisi

I sindacati hanno scritto al Premier Conte chiedendo un incontro in tempi rapidi, anche per parlare di riforma pensioni. Le parole di Annamaria Furlan

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LE PAROLE DI FURLAN

I sindacati hanno scritto al Premier Conte chiedendo un incontro in tempi rapidi, anche per parlare di riforma pensioni. Sul tema il sito del Sole 24 Ore riporta le dichiarazioni di Annamaria Furlan, che ha ricordato che “marzo per noi è una data fondamentale per capire dal governo quali proposte intende portare avanti e quali risorse mettere in campo sia sul tema della previdenza che del fisco. Ci auguriamo che siano risposte positive, con risorse adeguate”. La Segretaria generale della Cisl ha evidenziato che finora agli incontri sulle pensioni “il Governo non ha detto una parola, è stato tutto orecchie ad ascoltare. Anche sul fisco, dopo il risultato del taglio del cuneo per 3 miliardi di euro, non abbiamo più avuto alcuna interlocuzione”. Sul tema specifico delle pensioni, Furlan ha spiegato che tra gli obiettivi del sindacato c’è quello di avere “un sistema finalmente caratterizzato dall’equità, di guardare ai giovani e di rivalutare le pensioni in essere. Dopo tanto ascolto, ci auguriamo che ci siano progetti, proposte, risorse”.promo

CGIL, CISL E UIL SCRIVONO A CONTE

Come riporta Radiocor, Cgil, Cisl e Uil hanno inviato stamattina una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte per chiedere “un incontro in tempi rapidi” riguardo le tante crisi aziendali, la mancanza di una politica industriale, la riforma pensioni e quella fiscale. “Entro aprile è atteso il Def che va fino a fine legislatura e noi rivendichiamo che si avvii una fase di riforme e cambiamenti veri con risorse adeguate”, ha detto il Segretario generale della Cgil Maurizio Landini. Intanto, intervistato da La Verità, l’ex sottosegretario Armando Siri evidenzia come sul tema della previdenza “la fregatura è inevitabile, da quello che vedo muoversi nella maggioranza. E anche qui ci si occupa del sintomo e non della causa. Anziché penalizzare chi vuole andare in pensione, occorre incoraggiare – con un taglio delle tasse – chi entra nel mercato del lavoro, o chi vuole rimanervi, o chi vi fa entrare o restare degli altri a cui dà lavoro”. Un obiettivo raggiungibile con un disegno di legge di riforma fiscale a cui l’esponente leghista sta lavorando.

IL PARADOSSO DEL DIBATTO SULLE PENSIONI

Su L’Economia, l’inserto del Corriere della Sera, Daniele Manca evidenzia come la riforma pensioni con Quota 100 sia stata sbagliata, perché “appesantisce i conti pubblici ed è stata in gran parte ignorata dagli stessi lavoratori che avrebbero dovuto approfittarne”. “Soltanto in Italia invece di porsi il problema di come tornare indietro il più rapidamente possibile da un provvedimento sbagliato, si inizia a parlare niente meno che di ‘risparmi’ da Quota 100”, aggiunge Manca secondo cui è paradossale che in un Paese in cui la priorità dovrebbe essere la crescita e l’occupazione “si organizzano vertici e riunioni, impegnandosi a capire come far uscire dal mondo del lavoro chi un impiego ce l’ha. Quando va bene, si pensa a sostenere chi un posto di lavoro non lo ha oppure lo ha perso. E così i temi dello sviluppo, della crescita, della formazione sbiadiscono sullo sfondo di dibattiti resi solo a garantirsi il consenso guardando al passato”. Parole che si legano naturalmente al dibattito in corso sulla riforma pensioni e al confronto tra Governo e sindacati.

IL DATO SUL TASSO DI SOSTITUZIONE

In tema di riforma pensioni va segnalato il dato ricordato da truenumbers.it a proposito del tasso di sostituzione, ovvero del rapporto tra l’importo della pensione e l’ultimo reddito percepito. “Il nostro tasso di sostituzione è dello 0,73 (l’ultimo dato disponibile è quello del 2018)” e si tratta del secondo più alto d’Europa dopo quello del Lussemburgo. Inoltre, “è il più elevato della storia, almeno dal 2004 in poi. Vuol dire che in media i pensionati italiani tra 65 e 74 anni guadagnavano il 73% di quanto fanno i 50enni.  La differenza è notevole. E si è allargata negli anni. Nel 2004 infatti il tasso di sostituzione italiano era di 0,58, si era scesi poi a 0,49 nel 2007, quando ci superavano otto Paesi ora dietro a noi, come Svezia, Austria, Francia, ecc. Dal 2008 si è saliti sostanzialmente ogni anno a 0,51 nel 2009 poi 0,53 nel 2010, 0,55 nel 2011, 0,59 nel 2012, fino a superare 0,6 dal 2013 in poi, per arrivare a 0,71 nel 2017 e infine 0,73 nel 2018”. Chiaramente con le pensioni sempre più calcolate con il sistema contributivo questa situazione cambierà.

IL PRESSING DELL’ANP-CIA

L’Associazione nazionale pensionati aderente alla Confederazione italiana agricoltori Puglia Area Due Mari non è rimasta soddisfatta da quanto finora fatto dal Governo in tema di riforma pensioni, in particolare perché non c’è stato un aumento delle pensioni minime e lo sblocco totale delle indicizzazioni. Michele D’Ambrosio, Presidente dell’Anp-Cia Due Mari, secondo quanto riporta laprimapagina.it, promette che “il pressing dei pensionati Cia proseguirà anche nei prossimi mesi, con l’obiettivo di sensibilizzare le forze politiche sulle nostre principali rivendicazioni e priorità”. D’Ambrosio ha quindi elencato le stesse: “aumento delle pensioni minime; stabilizzazione ed estensione della quattordicesima; modifica del sistema di indicizzazione; riduzione del carico fiscale sulle pensioni; Ape social per gli agricoltori; pensione base per i giovani agricoltori e non; sistema sanitario e servizi socio-sanitari nelle aree interne; legge sulla non autosufficienza; legge quadro sull’invecchiamento attivo”.

RIFORMA PENSIONI, LA MANIFESTAZIONE M5S

“Abbiamo riempito Piazza Santi Apostoli, abbiamo occupato pacificamente anche le strade intorno per dire forte e chiaro #MaiPiùVitalizi”. Così dal blog delle stelle, il Movimento 5 Stelle parla della manifestazione tenutasi a Roma sabato per difendere la riforma della pensioni degli ex parlamentari. “Non è un ritorno alle origini, come qualcuno ha scritto o detto, noi non siamo mai cambiati e lottiamo ogni giorno contro soprusi, privilegi, disuguaglianze”, spiegano i pentastellati, evidenziando che “sono i vitalizi che provano a tornare, o meglio c’è una casta di irriducibili che con quasi 2000 ricorsi presentati alla Camera e al Senato vuole tornare a godere di pensioni super dorate a spese dei cittadini”.

LE PAROLE DI BECHIS

Sul tema Franco Bechis, sul Tempo, spiega di essere d’accordo con M5s, anche se non avrebbe messo alcun tetto al vitalizio. “Perché se deve essere rapportato ai contributi versati e il parlamentare ha svolto questa funzione per 45 anni andando in pensione assai tardi, non c’è motivo per non dargli il vitalizio calcolato sui contributi versati anche se l’importo dovesse essere molto alto”. Il giornalista evidenzia che “oltretutto anche oggi non è vero che i parlamentari hanno lo stesso trattamento di tutti gli altri italiani. Con 4 anni e 6 mesi di lavoro loro hanno diritto ad una pensione contributiva di circa mille euro netti a partire dal 65° anno di età. Con 9 anni di lavoro hanno oltre 2 mila euro netti al mese a partire dal 60° anno di età. C’è qualche altro italiano che ha le stesse condizioni pensionistiche? No. Quindi i privilegi, sia pure ridotti rispetto al passato, esistono ancora oggi”.





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