In 10 anni si sono verificati numerosi rincari alimentari, a partire dal cavolo e fino ad arrivare alle mele. Qui i dati pubblici.
A confermare i rincari alimentari è stata direttamente Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, che a sorpresa ha visitato il mercato rionale del capoluogo toscano (Sant’Ambrogio sito a Firenze).
Girovagando per le bancarelle del rione Lagarde si è accorta che effettivamente i prezzi di alcuni prodotti restano ancora alti e poco sopra il tasso di inflazione (oggi attestato al 2%). Tuttavia la media nel nostro Bel Paese è in linea con quella dell’UE, con la differenza che gli stipendi sono stagnanti.
I rincari alimentari riassunti in 10 anni

In 10 anni l’inflazione è riuscita a salire complessivamente del 22%, comportando a dei rincari alimentari significativi. Alcuni cibi però, sarebbero saliti perfino del doppio, come ad esempio il cavolo, tra l’altro uno degli ortaggi più amati e usato dagli italiani.
Tra sprechi alimentari, inflazione e precariato, le criticità sono sempre più assidue e complesse da dover risolvere. I costi sono saliti alle stelle non solo nel nostro Bel Paese, ma anche fuori dal confine, in particolar modo in Lituania dove si è registrato un +55%.
Dal quadro ISTAT sono stati messi in risalto i prodotti che – al di là di dove vengano comprati – negli ultimi 10 anni sono schizzati in maniera importante. In ordine citiamo le pesche, il cui costo ora è al +65%, seguono le patate (+60%), i pomodori (terz’ultimi con il 55%), i cavoli, come già detto, al 50%, e concludono le mele (+33%).
Il problema dei salari molto bassi
I rincari alimentari in Italia si sono attestati più o meno come nel resto dei Paesi europei, come in Francia, Finlandia e Irlanda, totalizzando un +28%. Mentre il peggior dato (come già accennato), si è registrato nei Paesi Baltici, con ben il doppio della percentuale.
Nonostante la somiglianza tra le varie percentuali in rialzo, oltre il Confine a ridurre il gap tra potere d’acquisto e aumento del salario ci pensano Spagna, Germania e Francia, mentre nel nostro Bel Paese gli stipendi restano sempre uguali (in qualche caso si sono perfino abbassati).
