Ha vinto il Premio Strega con un libro, Canale Mussolini, che è un tributo alla storia della sua terra e della sua famiglia. Ora Antonio Pennacchi racconta la sua Latina in un’intervista a Repubblica. Uno spaccato della vita di una città e di un autore che scrive per bisogno più che per piacere.
«Qui – racconta Pennacchi – la vittoria (del premio Strega) è stata accolta con entusiasmo: abbiamo vinto lo Strega! Gridavano. Come se avessero conquistato lo scudetto. In fondo però è vero. Quel romanzo parla della storia di tutti. È la voce collettiva. Io l’ho solo messa in pagina e fatta cantare». Canale Mussolini è la storia di una famiglia del Veneto che si sposta nella Pontina negli anni della bonifica. Un’epopea familiare e un affresco dell’Italia contadina negli anni del fascismo: «L’ho scritto in parte sotto dettatura dei miei morti – spiega lo scrittore –. Di mio padre e di mia madre. Le loro voci mi arrivano dentro e a volte mi fanno piangere».
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«Scrivere non mi diverte», racconta l’autore del "Fasciocomunista", da cui è stato tratto il film "Mio fratello è figlio unico". «Se vuoi scrivere devi avere delle urgenze. Le cose da raccontare devono passare attraverso il dolore e la rabbia. Devi essere incazzato per dedicarti alla narrativa».
Pennacchi, noto anche per alcuni suoi litigi in pubblico, dice a Repubblica di non essere litigioso. «Sono gli altri che mi provocano». E non risparmia una battuta sulla situazione politica attuale, lui che è stato fascista e socialista. Indica al giornalista l’albergo dove Mussolini «si portava le mignotte». Ma «lui almeno non le lanciava in politica».