Banche sempre più indifferenti nei confronti delle esigenze di accesso al credito delle piccole e medie imprese romane. A denunciarlo è Valter Giammaria, presidente di Confesercenti Roma, secondo cui nel 2011 al 35-40% delle Pmi che ne avevano fatto richiesta è stato rifiutato il credito. Una situazione che si somma alla grave crisi di liquidità delle aziende, anche perché i consumi sono ritornati ai livelli di 30 anni fa mentre i costi ovviamente sono aumentati. Per Giammaria, “le banche hanno il dovere di tornare a erogare il credito, perché hanno ricevuto i fondi della Banca centrale europea per stimolare la ripresa economica e agevolare le imprese”.
Giammaria, ritiene che il credito erogato dalle banche alle piccole e medie imprese di Roma sia adeguato alle loro esigenze?
Purtroppo il sistema bancario non sta venendo incontro alle piccole e medie imprese. Nel corso del 2011, il 35-40% delle Pmi che hanno presentato richiesta di accesso al credito si sono viste opporre un rifiuto dalle banche. Aumentano inoltre le richieste da parte delle banche di rientri dai conti correnti.
Ma sono le banche a non essere all’altezza, o le imprese a non offrire sufficienti garanzie?
Le banche sono sospettose e in un momento di crisi vogliono stare più tranquille. In questo momento tutto ciò che si sta facendo per la piccola e media impresa sulla questione del credito non è sufficiente. Le aziende stanno affrontando una grande crisi di liquidità, anche perché i consumi sono ritornati ai livelli di 30 anni fa mentre i costi sono aumentati. Questo crea moltissime difficoltà per le piccole e medie imprese.
Quale può essere la soluzione per risolvere il problema dell’accesso al credito?
In primo luogo, le banche devono ricominciare a erogare finanziamenti alle Pmi in difficoltà. Gli istituti di credito infatti hanno ricevuto dei fondi dalla Banca centrale europea per stimolare la ripresa economica e agevolare le imprese. Queste somme di denaro però non sono state messe a disposizione, come avrebbe dovuto avvenire, dell’economia italiana e romana per il rilancio delle Pmi. Queste ultime nell’attuale frangente si trovano in una situazione molto delicata, e non hanno la possibilità di accedere in forme dirette al sistema del credito bancario. La debolezza delle Pmi spesso è la loro solitudine.
In che modo è possibile creare delle sinergie per agevolarne l’accesso al credito?
Anche se si riuscisse a realizzare delle sinergie non sarebbero sufficienti per dare una risposta al problema dell’accesso al credito. In primo luogo perché le imprese rispondono del loro patrimonio, del loro giro d’affari, del loro fatturato. Anche creando alleanze o cooperative non sarebbe quindi possibile risolvere questo tipo di problema. A fornire un supporto sono le associazioni di categoria come Confesercenti attraverso i confidi e con l’interessamento delle Camere di commercio e delle istituzioni locali a sostegno del credito come controgaranzia. Se poi questo credito non è erogato nemmeno con le controgaranzie del sistema di confidi, a quel punto il sistema delle Pmi va ancora più in crisi.
Quindi anche i confidi di Confeserenti non riescono a ottenere gli obiettivi che si prefiggono?
I confidi di Confesercenti, come altri confidi, attraverso la loro controgaranzia intervengono efficacemente a sostegno delle imprese. Il problema è che però poi la banca deve erogare la liquidità, mettendola a disposizione dell’impresa.
Quali altri problemi a livello finanziario si trovano a dover fronteggiare le Pmi romane?
Oltre al calo dei consumi, ci sono i costi delle locazioni commerciali che hanno raggiunto livelli esorbitanti e ormai insostenibili. A questo si aggiungono le bancarelle abusive, che fanno concorrenza illegale ai commercianti. La stessa pressione fiscale e contributiva è molto elevata, basti pensare che il governo Monti nei prossimi anni vuole prelevare 2 miliardi e 700 milioni di euro dalle imprese.
Quale tra le tasse aumentate con l’ultima manovra sta penalizzando di più le piccole e medie aziende?
La pressione fiscale in generale, dall’Imu ai contributi e all’Iva. Quest’ultima, anche se non è pagata dall’impresa, provoca un calo dei consumi e quindi l’attività commerciale ne risente. Il governo ha dichiarato che a ottobre 2012 probabilmente porterà l’Iva al 23,50% per l’aliquota normale, e al 12,50% per i settori di alimentare e turismo. Si tratta di una pressione fiscale che non è compatibile con il sistema che abbiamo oggi e con la crisi attuale.
(Pietro Vernizzi)