Il 22esimo vertice annuale dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco) tenutosi a Samarcanda il 14-15 settembre ha palesato i reali rapporti di forza all’interno della partnership sino-russa. Quando Vladimir Putin ha dichiarato di comprendere le “domande e preoccupazioni” di Xi Jinping circa l’andamento della guerra in Ucraina sono risultati evidenti le difficoltà del leader russo, che con questa ammissione ha ricordato un subalterno chiamato a rapporto dal suo superiore. Ma in realtà non è cambiato molto da quando il 4 febbraio scorso fra Xi e Putin fu siglata una “amicizia senza limiti”, poiché già da allora i due partner non erano sullo stesso piano.
Abbiamo già avuto modo di sostenere che la vicinanza fra Russia e Cina – storicamente due rivali geostrategici – in realtà era il frutto della convergenza di interessi fra Xi e Putin e quindi del blocco di potere che sostiene Xi e dell’apparato industriale-miliare che è la base del potere putiniano. Un’alleanza personale fra due leader più che un’alleanza strategica fra due potenze.
Ma le cose sono cambiate. Con l’esercito russo che rischia di essere travolto la fortuna di Putin sembra essere finita e Xi Jinping pensa già alle prossime mosse. Sono due i livelli sui quali si muove il leader cinese. La dimensione estera, in cui in questa fase risulta di importanza primaria la rete di alleanze in Asia Centrale, e quella domestica, che sarà determinata dagli esiti del XX congresso del Partito comunista, quella in cui Xi si gioca la partita più importante. Prendere distanze da Putin ha una grande valore sul fronte interno e permette a Xi di indebolire i suoi oppositori, che a gran voce avevano denunciato le conseguenze economiche dell’alleanza con la Russia. Sul fronte estero l’obiettivo è quello di creare una rete di relazioni alternativa a quella della Nato, pertanto il vertice Sco e il rilancio dell’attività dei Brics rientrano in questo progetto globale, ma il modo in cui essi contribuiranno a configurare un “ordine mondiale alternativo” non è ancora chiaro. Il multilateralismo è il collante che tiene assieme Paesi che hanno economie e culture diverse, ma il modo in cui realmente Xi lo intende sarà grande questione dei prossimi anni.
Al momento non si può escludere che il multilateralismo da opporre all’egemonia statunitense sia per Xi la base di un programma politico da utilizzare sul fronte interno ed estero per rassicurare alleati e oppositori e al contempo farsi garante di una nuovo equilibrio in cui Putin rappresenta un elemento di disturbo da tenere a bada. Il fatto che il leader russo non abbia avuto un trattamento privilegiato rispetto agli altri invitati fa capire che per Xi la Russia è esattamente un partner come gli altri e che la Cina non intende alimentare le competizioni fra le potenze regionali dell’Asia Centrale.
Tenere un’equilibrata distanza da Putin e quindi da ogni tentazioni autocratica per Xi è un messaggio diretto agli oppositori interni e un rassicurante segnale per gli alleati asiatici, ma non cambia di molto la natura strumentale del rapporto con la Russia, che per Xi era e rimane una pedina di un gioco più ampio che ha come obiettivi Taiwan e la sfida agli Stati Uniti per l’egemonia globale.
Non è da escludere che Xi, suo malgrado, stia già pensando al dopo Putin. Uno dei temi principali del vertice di Samarcanda è stato quello delle ingerenze straniere negli affari interni, un allarme che aveva come obiettivo il rischio di “rivoluzioni colorate” che possano innescare una transizione verso la democrazia e il libero mercato e quindi verso “l’ordine liberale” delle relazioni internazionali. Una preoccupazione che mantiene Xi ancora molto vicino all’establishment russo, ma che non esclude un colpo di mano interno che possa portare al potere un soggetto ancora più vicino a Pechino che con il collasso del regime putiniano potrebbe aumentare la sua influenza in Russia e quindi sulle aree di confine del sud-est siberiano, da sempre oggetto degli interessi cinesi.
In definitiva il vertice di Samarcanda restituisce uno scenario in cui Xi intende farsi garante dell’equilibrio del nuovo ordine globale di cui vuole farsi promotore, un ruolo difficile da interpretare e che presenta notevoli difficoltà. Infatti, il progetto di Xi da un lato è in grado di attrarre nuovi soggetti come la Turchia e molto probabilmente l’Iran, ma al contempo deve riuscire a trovare un’intesa fra potenze che storicamente hanno interessi contrastanti. Basti pensare alla difficoltà di tenere assieme la Russia e i Paesi dell’Asia Centrale, India e Pakistan e magari in un prossimo futuro Egitto, Turchia e Iran.
In definitiva, il multilateralismo a guida cinese dovrà riuscire nel difficile compito di armonizzare vecchie rivalità e interessi inconciliabili e far risultare accettabile l’incremento dell’influenza di Pechino in tutta l’area. Un obiettivo arduo da raggiungere soprattutto se la Russia rischia di essere travolta da una umiliante sconfitta militare. Putin è una pedina sacrificabile, ma una Russia che entra nella sfera di influenza occidentale è un pericolo da scongiurare assolutamente. Ad ogni modo, se al momento non è dato sapere se il successore di Putin parlerà fluentemente il tedesco e l’inglese, come sostengono i biografi del leader russo, è molto probabile che avrà una grande familiarità con la lingua cinese.
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