Quando il conflitto russo-ucraino supera il trentaquattresimo giorno, piccoli spiragli di speranza arrivano da Istanbul, dopo il primo round di colloqui tra russi e ucraini durato tre ore. Come ha ricordato il capo negoziatore russo, sono stati compiuti passi concreti: l’Ucraina ha prospettato la possibilità della neutralità, però sotto l’ombrello di un cordone di sicurezza garantito dalle forze internazionali, mentre Mosca ha ventilato l’ipotesi del ritiro delle proprie forze da Kiev.
Sebbene la prospettiva di un incontro Putin-Zelensky sia ancora di là da venire, il leader turco Erdogan può arrogarsi il merito di essere riuscito a mettere almeno un primo mattoncino alla possibilità che Ucraina e Russia possano venirsi incontro e trovare un accordo?
“Questi segnali incoraggianti – risponde Michela Mercuri, docente di Storia contemporanea dei paesi mediterranei all’Università di Macerata – potrebbe significare che la Turchia ha molte più carte diplomatiche da giocare rispetto all’Europa, ma questo non vuol dire che Erdogan riesca a vincere la partita: se vogliamo restare alla metafora sportiva, diciamo che sta comunque disputando un ottimo match”.
Dopo Antalya, Istanbul: per la seconda volta dall’inizio della guerra la Turchia ospita i negoziati tra Russia e Ucraina. Erdogan può candidarsi al ruolo di mediatore?
Erdogan è un equilibrista che cerca di giocare tutte le sue carte su due tavoli: il quadrante russo e il quadrante nato.
Che carte può giocare per “convincere” i due contendenti a cercare di trovare un possibile accordo?
La Turchia ha certamente pi carte in mano dell’Europa. Sul fronte russo, Ankara è il primo partner commerciale di Gazprom, con cui ha firmato un pacchetto di accordi per la fornitura di gas da parte della Russia. Basti pensare che solo nel 2021 le forniture russe verso la Turchia sono aumentate di 5,8 miliardi di metri cubi. Non va poi dimenticato che la Russia ha venduto alla Turchia i sistemi missilistici S-400, che hanno creato non pochi problemi con gli Usa. Anche per questi motivi Mosca ha chiuso un occhio sui droni venduti dalla Turchia all’Ucraina.
Lei parlava di una Turchia che viaggia su un doppio binario…
Infatti Ankara sta nella Nato, pur tra alti e bassi, e ospita sul suo territorio numerose basi. L’Alleanza atlantica è quindi ben consapevole dell’utilità geostrategica della Turchia, che oltre tutto gioca un ruolo cruciale sul fronte dei flussi migratori, visto che ha bloccato entro i suoi confini molti profughi della rotta balcanica, che altrimenti sarebbero arrivati in Europa.
Con i colloqui di Istanbul a cosa mira Erdogan? Che dividendo politico e diplomatico vuole incassare?
E’ chiaro che chi dovesse portare la pace o quanto meno un accordo fra Putin e Zelensky guadagnerebbe un ruolo simbolico, ma anche politico, molto importante agli occhi dell’intero sistema internazionale, che sta osservando con il fiato sospeso quel che accade in Ucraina. Erdogan in questo modo vuole sicuramente liberarsi di quell’immagine di dittatore che gli viene addossata, cercando di innalzare il suo profilo internazionale, offrendosi appunto come mediatore. Un ritorno a quanto aveva cercato di fare prima del 2013, quando invece imboccò per la Turchia tutt’altra strada, con politiche molto più stringenti contro i dissidenti.
In Libia gli interessi della Turchia confinano con quelli russi. Cosa potrebbe cambiare negli equilibri tra i due paesi?
Non solo in Libia, ma in quasi tutti i quadranti in cui sono presenti, dal mar Nero ai Balcani, tra i due paesi c’è competizione controllata. Ma non arriveranno mai allo scontro.
Perché?
Le loro spinte verso il Mediterraneo non sono più opposte come lo sono state per secoli, quando la Russia cercava lo sbocco sul mare e la Turchia la conteneva e confinava sul mar Nero. Oggi Turchia e Russia sono potenze revisioniste dello status quo ed entrambe spingono per guadagnare profondità strategica nel Mediterraneo, anche grazie all’assenza degli Usa e alla debolezza della Ue. Quando c’è una sedia vuota, viene sempre occupata da qualcuno. Ed è quello che hanno fatto Russia e Turchia in Libia, in un gioco di competizione che potremmo definire win-win.
Quali vantaggi potrebbe cercare di ottenere Erdogan?
Non credo che nel quadrante libico Erdogan possa guadagnare dal ruolo di mediatore. Potrebbe comunque mantenere il tipo di rapporti cui facevo cenno prima con la Russia. Una Russia per certi versi più debole, anche militarmente, perché molti mercenari della Wagner sono stati trasferiti proprio dalla Libia all’Ucraina, tanto che oggi la presenza russa è meno consistente di quella turca.
Un eventuale rafforzamento turco in Libia, a discapito di una Russia indebolita, che conseguenze potrebbe avere per l’Italia?
C’è una notizia che è passata un po’ in sordina: il nostro premier Mario Draghi ha incontrato Erdogan a margine del recente vertice Nato. Hanno parlato non solo della guerra in Ucraina e dei suoi possibili sviluppi, ma anche della situazione nel Mediterraneo con particolare attenzione proprio alla Libia. E lo stesso Draghi ha dichiarato che il colloquio con il leader turco è andato bene. Infatti Italia e Turchia, assieme alla Francia, hanno deciso di riprendere quel dialogo avviato anni fa, e poi interrotto, anche per creare un forum a tre per affrontare i temi libici. Credo dunque che i rapporti fra Roma e Ankara, con tutte le avvertenze del caso, potrebbero migliorare anche in Libia, dove – ricordiamolo – la Turchia ha preso il posto dell’Italia che si era rifiutata di dare armi a Serraj nella guerra contro il generale Haftar. Erdogan ne ha subito approfittato, conquistando basi e posizioni strategiche.
La Turchia ora non sarà sicuramente disposta a cedere su queste basi e posizioni strategiche, non crede?
Vero, ma potrebbe intavolare con l’Italia un discorso su possibili accordi per stabilizzare il paese, magari per indire future elezioni. Erdogan così potrebbe cercare di rientrare al tavolo dei “buoni”.
La Turchia è impegnata con la Russia anche in Siria. Potrebbe chiedere a Mosca mano più libera contro i curdi siriani?
Se la mediazione della Turchia sulla guerra in Ucraina dovesse davvero riuscire, Erdogan si ritroverebbe in una situazione di vantaggio e in questo caso bisognerebbe prestare particolare attenzione al fatto che Ankara potrebbe approfittare di un eventuale indebolimento russo nella partita ucraina, sentendosi legittimata ad aumentare le sue pretese e le sue ambizioni nel dossier siriano. E non è da escludere un suo maggior interesse verso le regioni nord-orientali del paese, dove il suo obiettivo, da sempre, è costituire una zona cuscinetto ai suoi confini, anche in chiave anti-curda.
Erdogan può parlare con Putin anche a nome della Nato, essendo la Turchia un paese membro dell’Alleanza, anche se si comporta spesso come un Giamburrasca?
Premesso che nella situazione drammatica della guerra in Ucraina ogni mediazione è ben accetta, credo che, affinché la Turchia possa parlare a nome della Nato e non come membro della Nato – la differenza è sostanziale –, ci dovrebbe essere un colloquio preliminare con la stessa Nato anche solo per fissare i punti di una possibile trattativa. Altrimenti sarà difficile che il Giamburrasca turco possa arrogarsi il ruolo di poter parlare a nome dell’Alleanza.
Erdogan coltiva una politica a suo modo imperiale: vorrebbe espandere l’influenza turca verso i Balcani, il Caspio e l’Asia centrale. La guerra in Ucraina è un ostacolo a questo disegno?
Difficile dire, qualora la mediazione dovesse avere successo, se Erdogan cercherà di ritagliarsi un ruolo meno espansivo oppure se ne approfitterà. Nei Balcani Erdogan vuole implementare la collaborazione bilaterale con Belgrado, soprattutto nell’export degli armamenti, perché, da un lato, consentirà di ammodernare le forze armate serbe e, dall’altro, permetterà alla Turchia di esercitare una maggiore presenza, militare e della sua industria militare, nel cuore dell’Europa, con un volume d’affari che, secondo alcuni analisti, si aggira intorno ai 15 milioni di euro.
E in Asia centrale?
Erdogan vuole ampliare la propria sfera d’influenza e i propri investimenti anche verso l’Asia. Le scelte adottate dimostrano ampiamente questa volontà di voler ampliare le relazioni diplomatiche e politiche con quest’area. Non a caso la Turchia ha realizzato ingenti investimenti allo scopo di poter collegare l’Asia centrale all’Anatolia attraverso le grandi infrastrutture: ferrovie, porti sul mar Caspio e strutture energetiche, attraverso il Kazakhstan fino alla Cina, in grado di rafforzare il suo ruolo di hub energetico.
(Marco Biscella)
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