Oggi al Meeting di Rimini si parla di come accompagnare le persone affette da decadimento cognitivo. Non si tratta solo di pazienti, ma di domande di senso
Le condizioni di sofferenza, o di limite, che possono manifestarsi nella vita, e che chiedono, senza più “sordine”, in modo esplosivo un significato, presentano ciascuna delle peculiarità.
La demenza sarà l’oggetto di un incontro nella giornata inaugurale del Meeting di Rimini 2025, intitolato “Una strada di speranza nel cammino della memoria. La cura delle persone con decadimento cognitivo”.
Il sottotitolo che preliminarmente era stato proposto recitava “La cura dei pazienti con decadimento cognitivo”, tradendo una visione medicalizzata della questione. Uno degli invitati ha suggerito la modifica “La cura delle persone”. Ciò non significa, ovviamente, che non si debba fare qualunque sforzo di ricerca e di assistenza per migliorare le conoscenze su questa condizione, ma che, al fondo, la questione riguarda una persona.
L’insufficienza cognitiva ha caratteristiche gravose, per chi ne è affetto e per chi lo accompagna. Sta aumentando in modo significativo, anche in persone non anziane. Può nascere come un deficit di memoria, per progredire, nel tempo, con disturbi del linguaggio, del pensiero, dell’apprendimento, dell’orientamento, delle funzioni, del comportamento, dell’umore, delle relazioni, fino a toccare, addirittura, la personalità.
Nel decorso della malattia vengono progressivamente perdute le attitudini decisionali, e nelle fasi più avanzate si pongono seri problemi concernenti la appropriatezza o meno di interventi, per esempio, nutrizionali invasivi, rispetto all’accompagnamento della perdita progressiva delle funzioni fisiologiche.
Il monito del collega sul mantenere il focus sulla persona e non sulla condizione clinica offre però uno sguardo interessante e innovativo. Da un certo punto di vista, rappresenta quel “mattone nuovo” presente nel titolo del Meeting, possibile inizio della “strada di speranza” citata invece nel titolo dell’incontro.
La demenza è caratterizzata da uno stigma sociale e familiare, con pregiudizi e stereotipi difficili a morire, che rendono più difficile l’affronto della stessa, e che vengono descritte con frasi quali “non è più lui, o non è più lei”, spesso interiorizzate dalla persona stessa: “non sono più io”.
Queste inconsolabili espressioni, umanamente comprensibili, sono focalizzate, però, su quello che c’era e non c’è più, su quello che progressivamente viene mancare. È possibile, e come, mantenere lo sguardo fisso su quello che c’è, su quello che la realtà quotidiana propone?
A partire dall’essere sporti verso un ascolto, un’attenzione, un desiderio di comprensione di quello che la persona ci esprime, sia pure con modalità non sempre facilmente decodificabili. Insieme alla valorizzazione maggiore possibile delle capacità cognitive e funzionali residue, ma anche, al riconoscimento del “cuore” umano intangibile che si esprime come persistenza del desiderio di felicità, di bene, di affezione?
Per l’incontro del Meeting è stato chiesto a Patrizia Mecocci, professoressa ordinaria di geriatria nell’Università di Perugia, di presentare le più recenti novità scientifiche e le possibili ipotesi di trattamento; a Rabih Chattat, ordinario di psicologia clinica nell’Università di Bologna, di descrivere come affrontare lo stigma che circonda la demenza e di presentare il “metodo” nuovo di “stare a quello che c’è”, e a Marco Predazzi, fondatore e presidente della Fondazione “Il Melo”, di raccontare l’innovativo progetto di “Villaggio Alzheimer”, in cui anche strutturalmente la possibilità di “costruire con mattoni nuovi” è in via di realizzazione.
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