Dal Partito democratico è arrivata la bozza di un documento contenente proposte per cambiare il Sistema sanitario nazionale
E dopo il M5S, la Lega, Forza Italia (recentemente), e la pletora di documenti di gruppi di esperti più o meno schierati, anche il Pd si accorge che c’è la sanità e che forse sarebbe il caso di produrre una organica proposta di legge e non solo continuare a lamentarsi che occorrono più risorse, lamento che ad ogni buon conto è l’esatto contrario di quello che il Pd ha fatto quando era al governo, dove ha ripetutamente ridotto le risorse a disposizione del Fondo sanitario nazionale. Ma purtroppo si sa che questo è il tipico modo di argomentare nel nostro Paese tra maggioranza e opposizione, con evidenti incongruenze quando i ruoli si invertono.
Per il tramite di Marina Sereni, responsabile sanità del Pd, e con un’anteprima a un giornale di settore (Quotidiano Sanità, 29.7.2025), il Partito democratico rilascia una prima bozza di documento di 29 pagine dal titolo “Per il diritto alla salute Per la sanità pubblica Dalla mobilitazione alle proposte”, che dovrebbe trovare compimento in autunno e nel quale ci fa sapere cosa pensa del Servizio sanitario nazionale e che cosa si dovrebbe fare per modificarlo.
Vista la lunghezza del testo cercherò di riassumerlo il meno infedelmente possibile, considerato che non essendo iscritto al partito potrei non essere avvezzo a quelle particolarità e peculiarità del linguaggio (cioè i sottintesi e il non detto esplicitamente) che caratterizzano ogni forza politica. Si tratta di una prima bozza e la Sereni ci tiene a sottolineare che non è del tutto completa (mancherebbero, ad esempio, la farmacia dei servizi e la valorizzazione del Terzo settore) e pur essendo il testo il risultato di un percorso collettivo esso è “ancora aperto al contributo di professionisti, territori e associazioni”.
Cosa non va nel Ssn secondo il Pd? Seguiamo l’ordine del documento e vediamo che il Ssn soffre innanzitutto di una crisi profonda e strutturale i cui segni più importanti sono: liste di attesa lunghe, 4,5 milioni di italiani che rinunciano alle cure per mancanza di soldi, 40 miliardi di spesa out of pocket, grandi disuguaglianze territoriali, migrazione sanitaria da sud a nord, difficoltà per chi vive nelle aree interne, e i problemi degli operatori sanitari.
Per questo, dice il Pd, occorre una svolta nelle politiche pubbliche che passi attraverso alcune priorità, di cui la prima è il superamento del sottofinanziamento, per il quale il Pd ha già presentato un progetto alla Camera con l’obiettivo di arrivare entro 5 anni a raggiungere la media europea del 7,5% del Pil. E visto che siamo in argomento conviene spendere qualche parola in più.

C’è qualche pregio specifico nel continuare a prendere come riferimento della spesa sanitaria del Ssn (in realtà: finanziamento e non spesa) il valore medio europeo riferito al Pil? Se consideriamo che nelle diverse nazioni sono diversi i diritti coperti dal Ssn, le prestazioni essenziali erogate, il rapporto tra sanità pubblica e privata e in genere l’organizzazione sanitaria, le modalità di finanziamento della sanità (dove prendere le risorse), che senso ha ipotizzare che il nostro finanziamento pubblico debba essere uguale alla media europea? Per quale ragione il 7,5% del Pil dovrebbe essere la quota giusta di finanziamento di un sistema sanitario pubblico universalistico?
Il 7,5% risponde solo a un desiderio di imitazione, che tutte le forze politiche (e non solo) utilizzano per comodità per dimostrare che il Ssn è sottofinanziato, ma può essere l’obiettivo del finanziamento? La Corte Costituzionale ha dato, ad esempio, un’indicazione diversa dicendo che devono essere finanziati i diritti incomprimibili, i diritti costituzionalmente garantiti, senza fissare una quota rispetto al Pil ma invitando la politica, Governo e pPrlamento, a cercare i fondi tra le risorse indistinte. Il tema quindi non è la quota del Pil ma è la definizione dei diritti, cioè dei Lea, ma di questo la bozza del Pd non parla e si limita a fornire qualche suggerimento per reperire ulteriori risorse (lotta all’evasione, tasse di scopo, ecc.).
La seconda priorità è la ridefinizione dei rapporti pubblico-privato, che il Pd vede da una parte (essendo le risorse comunque limitate) nell’ottica per cui la priorità va data al funzionamento delle strutture pubbliche, e dall’altra nella prospettiva che sia una programmazione pubblica, fatta “sulla base delle priorità e dei bisogni di cura delle comunità”, a definire quali sono le attività da affidare al privato che la bozza chiama “convenzionato” ma che si dovrebbe qualificare come “accreditato”. La preoccupazione esplicita è quella di evitare che il privato scelga di erogare solo le prestazioni ritenute più remunerative, preoccupazione che sarebbe anche condivisibile, ma dietro a essa si nasconde ovviamente una visione distorta del rapporto pubblico-privato a esclusivo vantaggio del pubblico.
La terza priorità è ovvia e ha a che fare con la valorizzazione delle professioni sanitarie e socio-sanitarie: dalla carenza di personale, soprattutto in alcune specialità, alla sua remunerazione, dall’eliminazione dei tetti di spesa alla valorizzazione dei percorsi di formazione, dalla necessità di rendere attrattivo il lavoro nel Ssn alle specifiche problematiche delle cure primarie (Mmg, Pls), e così via fino al bisogno di riempire di attività (e quindi di personale) le nuove strutture previste dal Pnrr (case e ospedali di comunità).
E poi quella che la bozza chiama “la madre di tutte le riforme”, cioè la necessità di “ripartire dal territorio e dalla prossimità”, con il rafforzamento delle cure primarie, l’investimento sulla domiciliarità, l’importanza dell’integrazione socio-sanitaria, e soprattutto il riempimento di attività nei nuovi luoghi di cura che i fondi del Pnrr hanno permesso di realizzare.
Bisogna arrivare a pagina 16 per ricordarsi che il nostro è un sistema “universalistico fondato su equità, eguaglianza e solidarietà”, ma lo si ricorda solo per dire che bisogna fare prevenzione, cioè intervenire prima che le persone si ammalino: combattere la povertà e l’esclusione sociale, curare l’ambiente, seguire abitudini di vita salutari, potenziare vaccinazioni e screening, e considerare la spesa in prevenzione non come un costo ma come un investimento.
Ci sarebbero altre cose da dire (farmaceutica, medicina di genere, disuguaglianze territoriali, ricerca, fascicolo sanitario elettronico, intelligenza artificiale, edilizia sanitaria, ecc.), e soprattutto molto da commentare, ma visto che si tratta solo di una bozza ci sarà di sicuro l’occasione di riparlarne.
Due argomenti però meritano almeno un accenno: l’idea che per la spesa per la salute, che oggi è considerata solo come un costo, si debba passare a considerarla invece anche un’opportunità per il sistema economico produttivo del Paese (anche se la bozza non va al di là della affermazione); la necessità che il Ssn esca dal condizionamento eccessivo che ha avuto per lunghi anni (e ha ancora) dal ministero dell’Economia, e questa è di sicuro un’interessante provocazione.
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