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Home » Economia e Finanza » SANZIONI ALLA RUSSIA/ Il colpo da ko su ESG e finanza green

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SANZIONI ALLA RUSSIA/ Il colpo da ko su ESG e finanza green

Il caro-energia e le sanzioni legate al conflitto in Ucraina hanno fatto una vittima eccellente: basta guardare alla fuga dai fondi ESG

Mauro Bottarelli
Pubblicato 7 Giugno 2022
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, con l'attivista Greta Thunberg (LaPresse)

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, con l'attivista Greta Thunberg (LaPresse)

Il caro-energia e le sanzioni legate al conflitto in Ucraina hanno fatto finora una sola vittima. Eccellente, però. E non è la Russia, poiché dati diffusi nel fine settimana dal ministero delle Finanze di Mosca parlano di aspettative di entrate extra da petrolio e gas per 6,37 miliardi di dollari nel solo mese di giugno, grazie al rally dei prezzi innescato proprio al sesto pacchetto varato da Bruxelles. La vittima, però, c’è. Anche se ovviamente nessuno lo dice, poiché il castello che rischia di crollare è di quelli spacciati finora come inattaccabile: Greta Thunberg. Ovviamente, nessuno si riferisce direttamente alla giovane svedese svanita nel nulla, bensì alla sua rivoluzione green. E attenzione a non pensare che la questione sia meramente di contrapposizione politica o ideologica. Anzi, è talmente concreta e vile nel suo essere collegata al denaro da far davvero paura. 


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Questo grafico mostra plasticamente come nel mese di maggio i fondi equity ESG, ovvero quelli legati alla pagliacciata della sostenibilità ambientale e sociale, abbiano registrato una fuga di capitali quantificabile in 2 miliardi di dollari, il più grande pullback su base mensile mai verificatosi. 

Tradotto, comincia la fuga da quello che era stato ribattezzato come il business dei prossimi 30 anni, quello della transizione ecologica. È durato un annetto. Durante il quale, però, è cresciuto in maniera esponenziale a livello di assets e investimenti. Ecco, quindi, che quei 2 miliardi rappresentano qualcosa di ben più serio del loro mero valore nominale: sono una perdita totale di fiducia nel giochino. Sono il bambino che grida come il Re sia nudo. Perché appare chiaro come la situazione contingente venutasi a creare nel comparto energetico con il conflitto in Ucraina abbia fatto totalmente saltare la regola aurea di chi investe in assets a rischio: avvicinarsi all’uscita di sicurezza ma senza dare nell’occhio, al fine di farlo con le valutazioni ancora alte e, soprattutto, potendo guadagnare l’uscita prima che si crei la calca da esodo di massa. Quella che normalmente impone prezzi che precipitano e gente disperata che vende a qualsiasi bid, pur di uscirne con ancora qualche dollaro in tasca. E prima che si alzino i gates dei fondi e vengano bloccate le redemptions. 


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Quei 2 miliardi fanno rumore, quei 2 miliardi rappresentano un cacciatore di frodo che ha fiutato talmente tanto bene l’arrivo delle guardie venatorie da fregarsene del rumore che sta facendo e che potrebbe far scappare tutta la selvaggina. Occorre darsela a gambe. E farlo per primi. Questo non significa l’abbandono del progetto di transizione ecologica da parte di Governi ed entità sovranazionali come l’Ue con il suo Green New Deal, bensì qualcosa di peggio: l’addio alla sua finanziarizzazione, l’unica attrattiva reale di mercato in un mondo che sapeva benissimo fin da principio di non poter tagliare i ponti così in fretta con le fonti fossili. 


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Ci ha pensato Vladimir Putin a mettere la pietra tombale sulla sciarada. Ovviamente, in maniera interessata, visto che per stare in piedi il suo Paese vende petrolio e gas. Ma poco cambia: il mondo è tornato giocoforza a gravitare attorno all’energia sporca. Addirittura, paradosso dei paradossi, la Germania che vede i Verdi al Governo e con ministeri di peso, arriva contemporaneamente ad abbandonare il nucleare e tornare al carbone, pur di evitare la recessione totale! Ma questo, chiaramente, telegiornali e quotidiani non lo sbandierano troppo. Come nessuno sembra porsi il problema del perché, proprio ora che la loro battaglia viene messa in discussione dagli interessi sporchi della guerra, i giovani dei FridaysforFuture siano spariti. Vacanze in avvicinamento, quindi se ne riparla a settembre? 

Il problema, signori, è serio. Per molte ragioni. Primo, l’aumento dei prezzi del petrolio ha garantito un boost alle valutazioni dei titoli del comparto fossile, tanto che l’S&P 500 Energy Index da inizio anno ha guadagnato il 59% contro il calo del 14% registrato dal suo indice benchmark. Controtendenza netta. Direte voi, la Guerra mica durerà in eterno. Sicuri? Comunque sia, durerà più a lungo di quanto ci hanno venduto la nostra dipendenza come società produttive dai combustibili fossili, persino i massimamente inquinanti come il carbone. Le agende, le varie COP con I loro impegni, sono destinate a finire nel dimenticatoio. Quantomeno, fino al 2023. Perché a novembre si vota il mid-term e la benzina negli Usa ha toccato i 5 dollari al gallone alla pompa, tanto che Joe Biden ha già annunciato buyback di riserve strategiche per l’autunno. La pantomima sta perdendo di smalto. 

Secondo, a detta di Kent McClanahan, vice-presidente della RBC Wealth Management, lo scandalo del greenwashing e le ultime mosse dei vari enti di regolamentazione e delle magistrature (vedi il raid di due settimane da negli uffici di Deutsche Bank) sta ulteriormente facendo perdere appeal al settore ESG, tanto che l’ultimo sondaggio commissionato dalla società mostra come sia addirittura del 74% la percentuale di clienti che si dice certa di attività poco chiare e anche truffaldine nella definizione dei criteri benchmark per l’inserimento di titoli nei fondi. Greenwashing, appunto. Terzo e più serio, a differenza della Casa Bianca che molto ha parlato e ben poco messo in pratica, grazie anche a un Congresso decisamente pragmatico e amico storico dei petrolieri, l’Europa ha addirittura basato sulla narrativa ESG il suo piano pluriennale di crescita e investimento. Di fatto, il Recovery Fund attorno al quale tanto si sta tornando a discutere, rappresenta il volto emergenziale e da Covid dell’impalcatura di transizione verde voluta da Ursula Von der Leyen a colpi di stanziamenti miliardari. E se un eventuale tracollo di mercato del comparto, ovvero la trasformazione della palla di neve di quei 2 miliardi di outflows in valanga a fondo valle (con perdite in stile subprime per chi si sarà attardato nel raggiungere l’uscita di sicurezza), dovesse totalmente azzerare l’effetto leva o effetto Juncker per quegli investimenti, cosa farà l’Ue? Dove metterà i suoi bei piani? Come li ridiscuterà, se sullo sfondo dovesse sostanziarsi un crollo delle valutazioni? 

Perché piaccia o meno, la guerra potrà anche terminare con un cessate il fuoco, ma la tensione con la Russia è destinata a sedimentare e rimanere tale per decenni. E per quanto alla fine Mosca dovrà cedere, perché perdere l’Europa come cliente appare politicamente drastico nel ridiscutere i suoi assetti di partnership (tradotto, diverrebbe vassallo totale della Cina), la tensione su quelle fonti energetiche ancora esiziali appare ben lungi dallo sparire dalla sera alla mattina. A quel punto, chi scommetterà ancora tutto sulla pedina ESG? E rischia di costarci molto più cara del preventivato. Chi pagherà i danni, Frau Ursula o Greta?

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Tags: Greta ThunbergUrsula Von Der LeyenVladimir Putin

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