Le scelte regolamentari e le strategie di investimenti europee in tema di intelligenza artificiale dimostrano un buon grado di autolesionismo

Guardando alle nuove linee guida sull’attuazione dei divieti previsti nell’AI Act, uno degli aspetti più curiosi degli otto ambiti di impiego vietati dell’intelligenza artificiale è che, di fatto, erano già vietati prima in modo più o meno evidente da altre norme.

A parte quelle pratiche proibite in modo più o meno esplicito dal Regolamento europeo per la protezione dei dati (Gdpr) personali, e sono la maggior parte delle otto indicate nell’AI Act, altre sono in violazione di alcuni diritti costituzionali oppure di norme per la tutela dei lavoratori o dei consumatori. Diciamo che a questo punto si tratta di pratiche vietate “al quadrato”.



Almeno da 2007 la pubblicità subliminale è vietata, sfruttare le debolezza delle persone per ingannarle è cosa da codice penale, per lo scraping delle immagini facciali indiscriminato, la categorizzazione e l’identificazione biometrica e il social scoring abbiamo il Gdpr; con la polizia predittiva direi che potremmo violare i fondamenti di un’equa giustizia e il riconoscimento delle emozioni a scuola e sul lavoro, possiamo mettere in fila costituzioni, norme a tutela dei lavoratori e dei minori.



Si tratta di un altro sintomo che su questo tema l’Europa avanza con il timore di sperimentare una nuova forma di autolesionismo tecnologico. Si era già visto alla fine del 2023, poco prima dell’approvazione dell’AI Act, quando alcuni Paesi europei, che temevano tarpasse le ali alle start-up europee impegnate nella rincorsa alle big tech statunitensi, dilatarono i tempi di applicabilità della norma nel suo complesso ad agosto 2026.

Premesso che il suicidio tecnologico dell’Europa è avvenuto molti anni orsono con l’Italia tra i protagonisti (basterebbe ricordare cosa abbiamo fatto a Olivetti prima e Telecom poi per citare soltanto i casi più famosi), forse questo ripensamento sulla normazione come strumento di autodifesa dovrebbe essere accompagnato da una politica di investimenti molto, molto aggressiva.



Un segnale è arrivato lo scorso febbraio quando Ursula von der Leyen ha lanciato InvestAI, un piano per “mobilitare 200 miliardi di euro”. La parola “mobilitare” lascia intendere che le risorse dovranno essere messe insieme tra pubblico e privato e sarà interessante vedere quanto tempo ci vorrà. Per contro Amazon, Meta, Microsoft e Alphabet mettono sul piatto 300 miliardi di dollari (oltre altrettanti che hanno già speso), mentre il Governo federale investe 100 subito che diventeranno 500 nei prossimi anni. La Cina ha già speso 900 miliardi di dollari e dopo DeepSeek non intende smettere.

Vero che i soldi si possono spendere bene o male, ma considerando il ritardo europeo, ecco che i 200 miliardi appaiono ben poco “aggressivi”. Abbiamo quindi un “mezzo regolamento” e un “mezzo investimento” e possiamo avanzare qualche dubbio che alla fine il risultato sia “uno”.

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