Israele distrugge Gaza e vuole portare i palestinesi in Libia attraverso l'Egitto: una tragedia contro cui in Occidente protesta solo l'opinione pubblica
Israele vuole annettersi i territori palestinesi: Gaza, dalla quale 400mila palestinesi si stanno allontanando per evitare le bombe, ma anche Gerusalemme Est e Cisgiordania. E i palestinesi della Striscia vuole portarli in Libia, attraverso l’Egitto, con un’operazione che riaprirebbe la questione dei flussi migratori verso l’Europa.
Di fronte a tutto questo, però, spiega Paola Caridi, saggista e presidente di Lettera 22, la comunità internazionale non si muove, lo fanno solo le opinioni pubbliche occidentali. I “decisori”, la politica, lasciano fare a Israele, come sempre negli ultimi decenni.
Il ministro Bezalel Smotrich, intanto, parla di contatti con gli USA per far diventare Gaza un “Eldorado immobiliare”, mentre a Londra (dove ci sarebbero anche rappresentanti del Qatar) il ministro Dermer avrebbe incontrato Steve Witkoff, inviato di Trump, per riavviare le trattative. Ma non sarà facile.
Perché la comunità internazionale non reagisce neppure davanti a migliaia di persone costrette a lasciare Gaza?
È la domanda che ci facciamo tutti. Reagisce chi è senza potere, con le manifestazioni quotidiane che ormai interessano diverse città italiane: a Firenze ce ne sono due a settimana e a questo punto ci sarà una sorta di presidio permanente, e poi ci sono Genova, Roma, Milano. C’è una reazione, ma non è quella dei decisori. È comunque una partecipazione popolare che rappresenta un cambio di passo del Paese su Gaza.
Cosa frena la classe politica occidentale?
Credo che i decisori abbiano un problema serio rispetto a una postura nei confronti di Israele che non data dal 7 ottobre 2023, ma che è decennale. Non ne faccio una questione di destra o di sinistra: trasversalmente non sono mai riusciti a impedire a Israele di violare patti. Dopo Oslo sono state costruite le colonie, vere e proprie città, e c’è un’occupazione militare dei territori che dura dal 1967.
Perché nessuno ha smontato iniziative tanto illegali da meritare diverse risoluzioni ONU e una sentenza della Corte Internazionale di giustizia? È stato fatto pochissimo in questa direzione e ce ne rendiamo conto solo adesso perché assistiamo a un esodo di proporzioni bibliche.
Che però non è il primo, c’è già stato nel 1948, quando sono state cacciate 750mila persone. Eravamo prima della decolonizzazione, ora l’Algeria preside il Consiglio di sicurezza dell’ONU. L’esodo attuale è peggio di quello di 77 anni fa.
La consapevolezza del problema, però, è cambiata solo a livello di opinione pubblica?
I decisori non hanno mai fatto nulla oppure hanno pensato, come ha detto infelicemente e in modo irricevibile il cancelliere Merz, che Israele sta facendo “il lavoro sporco” per noi. Mentre però prima quel lavoro sporco sarebbe stato sostenuto senza dare seguito a nessuna reazione, oggi non è più possibile.
I decisori sono rimasti a un modo di gestire il potere per cui di queste cose si occupa una sorta di oligarchia; invece, adesso si devono confrontare con le popolazioni, compresa quella italiana. Ora c’è una separazione fra i partiti politici e la base dei partiti, il no al genocidio è estremamente trasversale, parla alla destra come alla sinistra.
Haaretz scrive che Netanyahu sa che l’uccisione degli ostaggi da parte di Hamas potrebbe offrirgli una scusa per espandere l’offensiva. Ma il premier israeliano ha bisogno di una giustificazione per procedere all’annessione dei territori?
Ha sacrificato gli ostaggi da quasi subito, è stato costretto a cessare il fuoco due volte e nella seconda occasione ha rotto la tregua quando ha capito che avrebbero liberato tutti gli ostaggi. Quindi non ha bisogno di una giustificazione, vuole avere un risultato subito, entro il 7 Ottobre, confidando nel fatto che Trump lo può sostenere fino all’ultimo massacro che compirà dentro la Striscia.
Ha offerto al presidente americano l’uccisione dell’intera leadership di Hamas e non c’è riuscito. A quel punto Trump ha dovuto mandare Marco Rubio in Qatar per soffocare le ire funeste del Qatar e di buona parte del Golfo.
Ora procederà con l’annessione di Gaza?
Israele vuole distruggere Gaza e annetterla insieme alla Cisgiordania. E non è solamente il governo Netanyahu a volerlo, altrimenti Israele se ne sarebbe liberato. Come dice il rapporto della Commissione indipendente presieduta da una delle più grandi giuriste del mondo, Navi Pillay, la responsabilità è dello Stato di Israele. Pillay fa tre nomi: Benjamin Netanyahu in quanto capo del governo, Isaac Herzog come presidente e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant. Virgoletta le loro dichiarazioni sottolineandone l’intento genocidiario. Ma anche se gli israeliani procederanno a queste annessioni, questo non cambia la trappola mortale in cui si è messa Israele.
Perché?
Perché Gaza è una delle nostre città del Mediterraneo. È come se bombardassero Atene o Algeri. Distruggendola si cancella il portato di una storia plurimillenaria, di 5mila anni di storia, quanti ne ha l’ebraismo. Per questo è una trappola mortale per Israele.
Netanyahu presenta l’operazione a Gaza come un’azione per garantire la sicurezza di Israele. Ma raggiungere davvero l’obiettivo in questo modo?
La sicurezza non si ottiene distruggendo una terra, con un genocidio di terra e popolo. Il rapporto della popolazione nativa con la terra è nel loro Dna, non si può cancellare come quando si usa un cancellino alla lavagna. Il mito della sicurezza è una foglia di fico di tutti i governi israeliani da decenni. Cosa ne è stato, invece, della sicurezza dei palestinesi che sono stati presi di mira dal 1948 a oggi?
Che idea ha in mente Netanyahu del Medio Oriente?
Credo che non abbia una strategia per il Nuovo Medio Oriente. Come è possibile realizzare una Riviera laddove ci sono 100 milioni di tonnellate di detriti? Non si può, ci metti 10 anni solo per toglierne una parte. Quale Medio Oriente ha in mente se bombarda il porto di Hodeida, nello Yemen, se distrugge Sana’a, se bombarda Doha, una delle capitali più importanti dell’intera regione araba? Chiuderà Israele in una trappola, non ne uscirà.
Tutta questa violenza chiamerà altra violenza?
I palestinesi non vogliono più passare attraverso questo inferno, di cui noi non riusciamo nemmeno a comprendere l’ampiezza. Sono due anni che i bambini non hanno i pannolini, le donne non hanno gli assorbenti igienici, si mettono in fila a centinaia davanti all’unico bagno in cui possono andare. Non abbiamo idea della follia in cui sono stati messi.
Netanyahu, però, indica come modello quello di Sparta. Pensa a una guerra continua?
Quello di Sparta è un modello fascista, che alligna nel fascismo europeo, che non vuole dire solo guerra permanente, ma che distingue tra persone che hanno i diritti e altre che non ne hanno. Si immagina un Paese in cui gli israeliani ebrei hanno diritti, mentre i palestinesi occupati non ne hanno.
Ma alla fine Israele cosa vuole fare dei palestinesi?
Israele vuole l’annessione, vuole violare ancora una volta il diritto internazionale e prendersi tutto. E questo tutto comprende Gerusalemme Est, Gaza e Cisgiordania. Quello che sta facendo in Cisgiordania è assolutamente folle: l’altro giorno mille uomini sono stati presi e portati via in una retata, a Tulkarem. Nessuno ne ha parlato. Sono un decimo dei palestinesi che già stanno in carcere. Veri e propri ostaggi: i detenuti non possono essere visitati dalla Croce Rossa internazionale, è ritenuto un attentato alla sicurezza del Paese.
E la deportazione come avverrà?
L’idea è di portare i palestinesi in Libia, tentando di comprarsi l’Egitto, con cui è già stato fatto un accordo da 35 miliardi di dollari per la fornitura di gas da parte di Israele. La gente di Gaza verrebbe fatta transitare attraverso l’Egitto per portali nel luogo in cui lo stesso Egitto controlla una parte del territorio libico, sotto Haftar, in Cirenaica. Ma non si può pensare di portare lì un milione e mezzo di palestinesi senza ingigantire la questione dell’immigrazione, con una buona parte dei Paesi europei che proprio su questo tema si gioca il consenso.
(Paolo Rossetti)
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