Difficile per l'Europa delineare una strategia senza sapere chi guiderà la Germania. L'Italia può far qualcosa per le sue imprese
L’Ue attende di sapere quali saranno le mosse di Donald Trump in merito agli annunciati dazi, ma deve fare intanto i conti con un’economia che ristagna e un’inflazione che è tornata a salire.
Come spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, «siamo in una fase estremamente confusa, perché, da una parte, non è ancora chiaro il contorno reale che prenderanno le misure protezionistiche annunciate dal Presidente americano, e, dall’altra, fintanto che non ci saranno le elezioni in Germania è molto difficile che ci possa essere una chiara azione di impulso tedesca sulla Commissione europea ai fini della realizzazione di una vera e propria strategia per rilanciare l’economia».
Dunque, anche la presentazione della Bussola della competitività della scorsa settimana va presa come “momento interlocutorio”.
Un conto è continuare a realizzare rapporti e presentare bussole, un altro è tradurre tutto ciò in pratica. Se aggiungiamo il fatto che in Francia c’è ancora da approvare la Legge di bilancio relativa a quest’anno vediamo uno scenario europeo contraddistinto non solo da un’inconsistenza decisionale, ma anche da dati economici che evidenziano sempre più come ormai il trimotore Germania-Francia-Italia sia fermo.
In effetti, i dati sul Pil del quarto trimestre diffusi la settimana scorsa parlano di crescita zero nell’Eurozona e in Italia e la Germania ha chiuso il 2024 in negativo.
Germania e Francia sono in crisi strutturale, mentre l’Italia vive una difficoltà legata alla situazione dei due principali Paesi europei. Non a caso, il nostro export extra-Ue l’anno scorso è cresciuto ancora, con un surplus, al netto dell’energia, pari a circa 115 miliardi di euro, mentre sul fronte intra-Ue il mercato si sta afflosciando. E con i tagli in vista alla spesa pubblica francese le cose non miglioreranno a breve. Tra l’altro va detta una cosa importante a proposito del dato sul Pil italiano.
Quale?
Di fronte alla stima di un +0,5% complessivo per il 2024 si è già cominciato a suonare l’allarme sul rischio per i conti pubblici. Penso, invece, che il mese prossimo, quando saranno diffusi i dati definitivi, scopriremo che la crescita è stata dello 0,7-0,8%.
Questo perché dal momento che la differenza tra il tendenziale grezzo e quello destagionalizzato nel secondo e nel terzo trimestre del 2024 è stata attorno allo 0,3% con un solo giorno lavorativo in più rispetto agli stessi trimestri del 2023, è plausibile pensare che il quarto trimestre si chiuda con una crescita tendenziale dell’1-1,1% (anziché dello 0,5%), visto che i giorni lavorativi in più sono stati due. Il che porterebbe il dato finale del 2024 al +0,7-0,8%.
Dunque, il nostro Paese non corre nessun rischio sul fronte del debito pubblico in rapporto al Pil?
Alla fine del terzo trimestre il rapporto debito/Pil era al 136,3%, e penso che alla fine del 2024 sarà quasi invariato, magari cresciuto solo di un paio di decimali, ma comunque ben sotto controllo, non certo al 139,7% stimato da Moody’s.
Tornando ai dazi, pensa che Trump non li introdurrà per l’Ue dopo tutti gli annunci fatti anche negli ultimi giorni?
I dazi sono stati introdotti già durante il primo mandato di Trump e penso che ne arriveranno di simili, con impatti ben diversi da quelli che si paventano. Un conto, infatti, sono gli annunci da campagna elettorale, un altro la loro concreta realizzazione, che in questo caso creerebbe dei danni anche per l’economia americana. È un po’ come il discorso dell’immigrazione, senza la quale gli Stati Uniti sarebbero cresciuti molto meno di quanto hanno fatto negli ultimi cinque anni: è impossibile pensare che ci sarà l’espulsione di milioni di persone.
Prima ha ricordato l’importanza delle elezioni tedesche, che potrebbero, però, portare a una situazione di ingovernabilità. Il rischio è che l’Europa resti senza guida nei prossimi mesi?
L’Europa, purtroppo, ha una guida solo sulla carta, perché è noto che la Commissione europea è stata sempre fortemente influenzata nelle sue decisioni da Francia e Germania, che oggi sembrano incapaci di esprimere una linea. Penso, quindi, che l’Europa abbia di fronte un periodo di scarsa capacità di reazione.
Di cosa avrebbe bisogno la sua economia per una svolta?
Nonostante le tante parole su innovazione e intelligenza artificiale, oggi le svolte si ottengono tramite il rilancio dei consumi interni e degli investimenti. Siamo in un momento in cui occorrerebbero politiche keynesiane, un po’ più sagge di quelle francesi degli ultimi anni, ma l’unico Paese in Europa che potrebbe agire su questo fronte, perché ha lo spazio fiscale per farlo, è la Germania, se solo riformasse il freno al debito. Manca una maggioranza in grado di varare questa riforma e di imprimere una svolta alla politica europea attraverso l’adozione di eurobond per alcuni investimenti.
Per l’Italia, quindi, intanto diventa cruciale la messa a terra degli investimenti del Pnrr.
Attendo i dati finali sul Pil del quarto trimestre per vedere come stanno procedendo gli investimenti in fabbricati non residenziali e altre opere, il cui indice già nel terzo trimestre era cresciuto a 149 rispetto al 114 di fine 2022. Purtroppo non tutti gli investimenti del Pnrr confluiscono su queste voci, ma speriamo continuino a crescere.
Il recente rialzo dell’inflazione può essere un problema per la tenuta dei consumi? Tra l’altro è dovuto principalmente ai prezzi energetici su cui le imprese continuano a chiedere un intervento…
L’inflazione mi sembra ancora sotto controllo. Sull’energia non si può pensare di avere dei plafond nazionali per introdurre delle compensazioni di prezzo, perché rappresenterebbero un’alterazione del mercato europeo. Le imprese dovrebbero, quindi, presentare la loro richiesta a Bruxelles. C’è, invece, qualcosa che il Governo potrebbe fare per il mondo industriale.
Che cosa?
Cercare di incentivare, magari con vantaggi fiscali inferiori a quelli di Industria 4.0, gli investimenti in macchinari e impianti. Penso che non costerebbe molto. L’Ires premiale introdotta con la Legge di bilancio 2025 non può dare gli stessi effetti, come del resto nemmeno Transizione 5,0, che, a differenza di Industria 4.0, presenta molti vincoli e adempimenti burocratici che stanno portando le aziende a rinunciarvi.
(Lorenzo Torrisi)
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