Qual è il sismografo rilevatore della debolezza costitutiva sul piano istituzionale dell’Ue? È una domanda a cui ora possiamo iniziare a rispondere: l’incapacità di affrontare il tema epocale, il fenomeno più rilevante degli ultimi venticinque anni: le “migrazioni”.
Perché venticinque anni? E quali “migrazioni”? Perché son passati venticinque anni circa dall’abolizione, nel 1999, della legge nordamericana del New deal rooseveltiano: il Glas-Steagall Act del lontano 1933. Nel 1999 il Gramm-Leach-Bliley Act aboliva la netta separazione tra investment bank e commercial bank sancita, appunto, nel 1933, instaurando quel regime di neoliberismo promosso dall’alto, per mano dello Stato, che doveva tendere ad abbassare i costi di transazione – sino a tendere allo zero – di tutte le merci prodotte, dei beni e dei servizi e del denaro e delle ore lavorate: e quindi delle persone, come accadde sia con le regole dell’Ue, sia per le grandi crisi mondiali che si scatenarono a partire dagli ultimi anni del Novecento.
Era la deregolamentazione, che si univa alle grandi crisi economiche mondiali ricorrenti: dalla crisi thailandese del 1997 a quella del 2007-2008, sino a giungere alle crisi da choc esogeni al ciclo economico mondiale per via della contaminazione pandemica e oggi della guerra imperialistica della Russia all’Ucraina.
Non solo il denaro migra con una rapidità e intensità prima inusitata – grazie alla digitalizzazione dell’economia e ai reticoli sociali di scambio e creazione dei landscape simbolici via internet -, ma migrano, per un fascio di fattori terribili e diversi, anche le persone, con un’intensità veramente drammatica.
Alle crisi economiche si sono accompagnate le distruzioni statuali per le guerre di aggressione compiute contro la Libia e l’Iraq, da un lato, e le repressioni multilaterali sanguinose e continue scatenate dalle cosiddette “primavere arabe”, dall’altro: la guerra mesopotamica, con la distruzione e poi la ricostruzione del regime degli Assad in Siria, e la disintegrazione del Libano sotto la pressione del terrorismo iraniano e degli integralismi islamici hanno creato una cassa di espansione e di risonanza all’emergere di nuove potenze nelle relazioni internazionali: anche in questo caso una migrazione di potere… Basti pensare al riacquistato ruolo internazionale della Turchia e della Russia.
Nelle molte Afriche, inoltre, e non solo nello Heartland, la disuguaglianza crescente, la marginalità e le guerre ricorrenti sono state indotte dal neoliberismo del Fmi che ha distrutto il regime di welfare tipico della fase della decolonizzazione (si pensi alle politiche di “aggiustamento”già sperimentate con le operazioni Condor cilene e argentine nelle Americhe del Sud).
Si sono scatenate catene migratorie di inusitata ampiezza e continuità: dal cuore afghano dell’Heartland all’Indo-Pacifico, al Corno d’Africa somalo-eritreo, sino alle nazioni sub-sahariane delle Afriche settentrionali-mediterranee: flussi migratori di una dimensione inusitata che si sono diretti sia verso alcune nazioni africane (si veda la migrazione degli egiziani in Libia), sia verso le monarchie del Golfo dei popoli indopacifici, adibiti a lavoratori neo-schiavizzati. Migrazioni di monete, di beni, di persone: un mondo di flussi in quantità sempre crescente e sempre meno regolato da accordi interstatuali.
Un’immensa contraddizione: tutto il mondo è affollato di organizzazioni internazionali che dovrebbero, appunto, regolare fenomeni epocali, dalla fame al commercio, ai trasporti… Ma la maggioranza di queste organizzazioni sono o bloccate da un sistema di veti reciproci (si veda il Wto) oppure da un’incapacità compulsiva preclara e ormai pluridecennale (si pensi al Bit o Ilo che dir si voglia).
I flussi sono oggetto, più che di barriere doganali o militari, di regolamenti attuativi che sono solo dissuasivi o solo inefficaci. Ma in verità, i flussi migratori proseguono ininterrotti: dai capitali alle persone, dai traffici internazionali delle droghe alle catene del potere e dei poteri.
Questo fenomeno della circolazione e della decomposizione dei poteri si rivela essere un fenomeno sempre più rilevante, soprattutto nelle relazioni internazionali, dove sia il multilateralismo, sia l’unipolarismo (sia Usa che cinese) sono continuamente messi in discussione e posti in forse da trasmigrazioni di potere: dalle relazioni internazionali, dove è aumentato a dismisura il peso delle piccole e medie potenze.
Si pensi alla trasformazione dei pesi e delle rilevanze nel potere europeo, con la trasmigrazione del potere dagli Stati del fianco sud della Nato nel Mediteranno a vantaggio del peso relativo delle nazioni del plesso baltico-scandinavo per effetto sia della guerra di aggressione russa, sia per il peso crescente che assumerà l’Artico nei decenni a venire per il cambiamento climatico, con una ricomposizione ancora assai imprevedibile dei poteri nell’arena internazionale.
Tutto migra: dalle persone ai capitali alle potenze di interdizione e di aggressione e di composizione degli equilibri e delle alleanze nelle relazioni internazionali. Un mondo di migrazioni: dalle persone alle risorse fisiche e monetarie, alle idee. Sì, alle idee e ai mores: si pensi al peso delle nuove culture antropologiche dei rapporti tra i sessi e delle rappresentazioni del mondo in guisa letteraria e artistica, idee che affollano sempre più i nostri universi simbolici, sino a quel linguaggio descritto da quel pioniere che fu Roland Barthes quando studiò le système de la mode.
Ebbene, dinanzi a questo fenomeno epocale (chi volesse intenderne i lineamenti in una visione potente e sintetica legga l’aureo libretto di Giuseppe Sciortino, Rebus immigrazione, edito da Il Mulino nel 2017 e sempre attuale), l’Ue ha saputo risolversi tra mille incagli e dubbi ad aprire sì le frontiere interne con Schengen, ma a tutto bloccare senza un disegno condiviso sul tema delle frontiere “esterne”, ossia del rapporto tra Ue e mondo migrante e storia mondiale con teorie e pratiche il cui fallimento è dinanzi a tutti.
È ora di ripensare e ridiscutere ogni cosa, dinanzi alla trasformazione migrante che incombe.
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