L'Ue sembra in preda a una frenesia per cercare di reagire alla situazione in cui si trova. E questo non aiuta l'Italia
Da un mese circa, da quando Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca, l’Ue sta cercando di trovare le risposte alle politiche commerciali della nuova Amministrazione americana. E dopo la presentazione della Bussola della competitività, le iniziative di Bruxelles sembrano aver subito una brusca accelerazione la scorsa settimana, quando dagli Usa non solo è arrivato l’annuncio dell’introduzione di dazi reciproci, ma è stato in poco tempo avviato un negoziato con la Russia per porre fine alla guerra in Ucraina.
Prima Ursula von der Leyen ha dichiarato che le spese per la difesa non verranno conteggiate ai fini del Patto di stabilità e crescita, poi si è parlato di un’iniziativa per mobilitare 200 miliardi di investimenti nell’Intelligenza artificiale e a quanto pare la prossima settimana la Commissione dovrebbe sancire la necessità di aumentare di 480 miliardi gli investimenti annui in energia, industria e trasporti rispetto all’ultimo decennio. Sullo sfondo resta la stima del Rapporto Draghi di almeno 700-800 miliardi di investimenti annui nell’Ue. Abbiamo chiesto un commento all’ex direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili.
In questi giorni l’Europa sembra essere in preda a una frenesia dettata da quello che Macron ha definito un “elettroshock”, ovvero il ritorno di Trump alla Casa Bianca. Stiamo, però, parlando di un qualcosa che era noto da inizio novembre ormai…
È vero che questo “elettroshock” era in qualche modo previsto, ma per certi versi l’Europa si è fatta cogliere impreparata e la sua capacità di reazione è quella cui stiamo assistendo. Per esempio, nel caso dell’Ucraina, il vertice in formato atipico (visto che non era presenti tutti i Paesi dell’Ue e c’era il Premier della Gran Bretagna che non fa più parte dell’Unione) di Parigi di inizio settimana. O, nel caso economico, il nuovo richiamo di Draghi sulla necessità che l’Europa faccia qualcosa. Detto questo, non possiamo trascurare il fatto che proprio nelle ultime ore è emersa una novità significativa.
Quale?
Trump ripeteva da tempo che si sarebbe subito mosso per far cessare il conflitto in Ucraina, ma le sue ultime dichiarazioni secondo cui Kiev non avrebbe mai dovuto iniziare la guerra e Zelensky godrebbe del 4% di approvazione da parte dei suoi concittadini, che tra l’altro non hanno potuto votare per via della legge marziale vigente nel Paese, sembrano quasi legittimare la linea del Cremlino. Nessuno si aspettava un presa di posizione del genere, che tra l’altro pone un problema non indifferente alla nostra Premier.
Che tipo di problema?
La Meloni ultimamente era già in una posizione complicata. Infatti, mentre ribadiva, in linea con l’Ue, sostegno pieno all’Ucraina, cercava anche di portare avanti un rapporto privilegiato con Trump, cosa che la metteva in difficoltà con Bruxelles, vista la questione dei dazi. Oggi mantenere questa posizione diventa problematico visto che le dichiarazioni del Presidente americano sono di segno opposto a quelle della Premier sull’Ucraina e sulla Russia. Non dimentichiamo tra l’altro che c’è appena stato un attacco pesante di Mosca nei confronti del nostro capo dello Stato.
Come la Premier può affrontare questo problema relativo alla sua posizione internazionale che tra l’altro negli ultimi mesi l’aveva favorita non poco anche sul fronte interno?
È un passaggio complicato. In questi mesi la sua linea si è contraddistinta per una politica di bilancio prudente e una politica estera molto atlantista. Adesso tutto questo si deve rapportare con un quadro nuovo.
Cosa pensa della frenesia europea per quel che riguarda le politiche economiche e fiscali?
C’è una frenesia che non può non impressionare visto che si parla di rivedere le regole fiscali che sono appena entrate in vigore dopo una riforma che ha richiesto diverso tempo per essere approvata e si continuano ad annunciare iniziative che sono poi tutte da mettere in pratica, a partire dalla Bussola della competitività che di fatto si basa sul rapporto che Draghi ha presentato l’anno scorso. C’è quindi grande nebbia su quello che realisticamente si potrà fare rispetto a continue proposte e iniziative. In questo vedo un’ulteriore dimostrazione di quanto l’Europa sia in ritardo rispetto alla tabella di marcia che ha cercato di darsi con l’inizio della nuova legislatura.
Sembra che nel Clean Industrial Deal che verrà presentato la prossima settimana la Commissione proporrà una semplificazione delle regole sugli aiuti di Stato per accelerare la produzione di energia pulita. Non rischia di essere una mossa che amplificherà le divaricazioni tra i Paesi membri visto che non tutti hanno le risorse per varare aiuti di Stato?
Sì, si è parlato a lungo l’anno scorso di quanto le risorse comuni sarebbero preferibili rispetto agli aiuti di Stato, come pure della necessità di superare le decisioni prese all’unanimità, ma mi pare di poter dire che siamo ancora all’anno zero. Tra l’altro se guardiamo oltreoceano, sia con Biden che con Trump, non ci si fa molti problemi riguardo l’utilizzo degli aiuti di Stato. Stessa cosa si può dire per la Cina.
Per poter fare in modo che tutti i Paesi membri possano mettere in campo gli aiuti di Stato si dovrebbero rivedere le regole fiscali…
Vediamo appunto il Patto di stabilità tornare in discussione dopo che si è dibattuto per mesi su come riformarlo. Sullo sfondo c’è anche il dibattito sul debito comune. C’è una frenesia progettuale che è lo specchio di un ritardo che l’Ue ha accumulato.
Tutta questa vicenda più prettamente economica che ricadute può avere sull’Italia che sta portando avanti una politica di bilancio molto prudente?
Il quadro per l’Italia si complica un po’. Ha fatto tutto quello che doveva fare, come si sta vedendo anche a livello di tenuta dello spread, ma c’è un contesto che si sta modificando molto rapidamente. Il dibattito interno alla maggioranza si sta concentrando su una promessa che era stata fatta circa la riduzione delle tasse per il ceto medio e sulla richiesta di una nuova rottamazione delle cartelle esattoriali.
Si tratta di interventi che richiedono coperture, ma è molto difficile pensare che si possano trovare per entrambi. Bisognerà, quindi, fare una scelta politica e spetterà alla Meloni trovare una sintesi. Al di là di questo confronto interno nella maggioranza, resta la necessità di sostenere l’industria e la crescita dell’economia che rimane asfittica. E anche in questo caso bisognerà trovare delle risorse.
È per certi versi curioso che tutta questa frenesia si stia manifestando a ridosso delle elezioni in Germania.
In effetti tutto questo agitarsi con iniziative e promesse a livello europeo dovrà in primo luogo misurarsi con quello che sarà il risultato del voto tedesco. Se dovesse esserci una fortissima ascesa dell’Afd, che gode del sostegno di Musk e dell’Amministrazione Trump, visto l’incontro che il Vicepresidente JD Vance ha avuto con Alice Weidel la settimana scorsa, sarà come veder gettata nuova benzina sul fuoco.
Al momento i sondaggi dicono che a conquistare più voti sarà la Cdu/Csu e che molto probabilmente si dovrà cercare di dar vita a una nuova “grande coalizione” con la Spd. Se così fosse il quadro europeo potrebbe quanto meno semplificarsi, nel senso che la Germania tornerebbe ad avere un ruolo che in questi ultimi mesi non ha potuto evidentemente esercitare. Sarà la prima tappa di verifica rispetto a temi sul tappeto di cui abbiamo parlato.
(Lorenzo Torrisi)
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