Le scelte di Trump hanno creato in Europa uno scompiglio assimilabile a quello dell'89. L'esito è incerto ma vale la pena correre il rischio

Vera Sandberg è una giornalista tedesca, nata e cresciuta in quella che fu la DDR, la Germania comunista, e comunista lo era davvero anche lei, per convinzione, almeno sino al 1989, quando, lasciato il paradiso socialista che ormai cadeva a pezzi, si trasferì ad Amburgo. “Eravamo, o credevamo di essere, la Germania migliore, quella che combatteva contro lo sfruttamento e il capitalismo”, scrive in una sua interessante testimonianza uscita sulla Berliner Zeitung il 27 febbraio scorso.



Insomma, una che ci aveva creduto, come tanti, che piaccia o no, nell’Est Europa a controllo sovietico. “Già in prima elementare cantavamo gli inni della rivoluzione cubana (…) Da studenti leggevamo Marx e Lenin e pensavamo di aver capito come funziona la storia”.

Le cose, però, andarono diversamente “e quando cadde il muro di Berlino – per me in maniera abbastanza sorprendente –, mi ero già liberata di quella corazza ideologica in cui ero stata cresciuta. La politica è sempre anche biografia”. Da giornalista finanziaria “avevo cominciato a pensare: quante rinunce, quanto dolore sono giustificabili perché un giorno, chissà quando, le cose vadano meglio? Poi arrivò Gorbaciov, con le idee di Glasnost e Perestrojka, e con molto buon senso affermò che se nel giro di un paio di anni non avessimo dimostrato la superiorità nel nostro sistema economico, allora bisognava prendere atto che l’esperimento socialista era fallito”.



Eh sì, quell’esperimento era proprio fallito. Vera Sandberg riuscì a lasciare la DDR (che sarebbe durata ancora pochissimo) e raggiungere Amburgo, dove al direttore di un importante quotidiano, presso cui avrebbe poi lavorato, chiese: “Ma i tedeschi occidentali dove vanno, quando il loro Stato non fa più per loro?”. La risposta fu una risata, accompagnata da una domanda: “Che impressione ha Lei della libertà occidentale?”. “Sono un po’ delusa dallo scarso uso che i media fanno della loro libertà di stampa. Tutti scrivono le stesse cose, a volte anche parola per parola”.

Era il tempo che precedeva di poco la caduta del muro e Vera Sandberg nel suo articolo-testimonianza ricorda e sottolinea di aver mantenuto anche successivamente quello sguardo critico sulle “libertà” occidentali, trovandosi oggi a constatare delle analogie con quel periodo storico. Il grande alleato – allora l’URSS di Gorbaciov, adesso l’America di Trump – sta cambiando cavallo e non si riesce più a riconoscerlo, forse perché lo si è sempre seguito con un’obbedienza cieca, ideologica. E precisa: “Quando mi trovo davanti alle uscite di Vance e di Musk, percepisco la confusione e l’euforia che Gorbaciov aveva suscitato a quell’epoca”.



Nella DDR c’erano ovunque manifesti propagandistici che dicevano: “Imparare dall’Unione Sovietica significa imparare a vincere!”. Adesso arriva il quarantenne vicepresidente degli USA e afferma che le muraglie divisorie non hanno senso in democrazia. Musk fa addirittura il tifo per la AfD. E quelli che pensavano che imparare dagli USA fosse imparare a vincere, vanno in crisi, non sanno più da che parte girarsi.

Quella di Vera Sandberg è una testimonianza che fa pensare e che suscita domande. Sta cadendo un muro? O forse un mondo? Se sì, è quello di un facile conformismo, di una corazza ideologica, che non è più quella del marxismo-leninismo, ma del politicamente corretto, o, per dirla con Joseph Ratzinger, della “dittatura del relativismo”. A chi si era accomodato sulle “verità” atlantiche, prestabilite perché ripetute dai grandi media (che continuano imperterriti a ripeterle), la realtà sta presentando il conto.

E allora vale la pena di ricordare che la svolta sull’Ucraina (perché è proprio questa che sembra dar fastidio), e sulla narrazione che ci viene imbandita da tre anni, era già stata anticipata dall’ormai celebre affermazione di papa Francesco sulla Nato che è andata ad abbaiare nel cortile di casa della Russia. Papa Francesco per questo fu accusato di essere “putiniano” (così come Benedetto XV fu accusato di essere “disfattista austriacante”, quando denunciò “l’inutile strage” della Grande Guerra) ed è rimasto ad oggi inascoltato, perché è tipico dell’opinione dominante demonizzare gli inviti a pensare autonomamente.

Reggerà la NATO così com’è? Reggerà l’UE così com’è? Meglio ancora: è utile e necessario che reggano così come sono? E se tornasse invece ad affacciarsi l’obliata visione di un’Europa a due polmoni, quella che Giovanni Paolo II – non a caso citato da Vance a Monaco – indicava come il programma per il terzo millennio?

E ancora: i fini dell’amministrazione Trump sono altri? Non lo sappiamo, ma, quand’anche fosse solo calcolo di vantaggi economici, vale la pena di ricordare che una delle leggi fondamentali che governano la storia è quella dell’eterogenesi dei fini, secondo cui le azioni umane possono riuscire a fini diversi da quelli che sono perseguiti dal soggetto che le pone in atto. E se l’esito fosse la pace in Ucraina e una crepa nel muro del liberalismo illiberale in Occidente, sarebbe almeno un buon inizio, di cui essere grati.

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