Nel Museo Civico di Sansepolcro, città natale di Piero della Francesca (1412 – 1492), c’è un ritratto a grandezza naturale del celebre pittore che viene esplicitamente qualificato come «picturae, aritmeticae, geometriae amplificator», quindi innovatore nella pittura ma soprattutto nelle matematiche: la scritta è confermata dal tavolo sul quale sono evidenziati un compasso e i volumi delle opere di Euclide e Archimede, mentre nessun oggetto ricorda il mestiere del pittore. «Se il committente voleva celebrare le glorie famigliari, è chiaro che riteneva Piero matematico più adatto allo scopo di Piero pittore, per quanto bravo». Con questa osservazione Enrico Gamba e Vico Montebelli concludono un corposo e documentato saggio intitolato appunto Piero della Francesca matematico, frutto di un lungo, accurato e appassionato studio da parte dei due autori che riconsegna all’artista il suo ruolo, finora largamente ignorato, di «uno dei migliori matematici europei del Quattrocento».
La prima parte del volume ripercorre la vita e il percorso di formazione di Piero, soffermandosi sulle diverse tappe, anche geografiche, che corrispondono ciascuna a un passo di approfondimento della sua ricerca matematica e di sviluppo della sua concezione della prospettiva, che sarà pienamente esposta nel De prospectiva pingendi dove si manifesta e si argomenta la sua convinzione originaria che «la prospettiva essere vera scientia» e non un artificio «perché, se viene formulata e applicata correttamente, permette di distinguere e perfino di calcolare sotto quali condizioni essa stessa diventa artificio».
Così nella prima tappa di Firenze Piero incontra la forte tradizione della matematica abachista, abituata a ragionare in modo analogico anziché deduttivo, procedendo dall’esame di numerosi casi e non per deduzioni. Ma a Firenze è inevitabilmente immerso nel dibattito sulla prospettiva, sui suoi fondamenti e sulle varie tecniche nate nelle botteghe e dalla genialità di alcune delle figure più significative della storia dell’arte, da Brunelleschi a Donatello a Ghiberti.
Durante la permanenza a Ferrara Piero si trova coinvolto nel clima erudito umanistico della corte estense ma viene anche a contatto con matematici e astronomi e inizia a sviluppare quel suo modo originale di fare matematica che Gamba e Montebelli definiscono da «abachista anomalo», con l’approccio tipico delle scuole d’abaco – che procede senza teoremi alla ricerca di verità operative anziché dimostrative – ma che allo stesso tempo sente tutta l’attrattiva per la matematica greca: «C’è una sorta di differenza di potenziale – dicono i due studiosi – tra una matematica delle soluzioni e la matematica delle dimostrazioni, che muove la matematica di Piero».
Le tappe a Rimini e Arezzo sono segnate da capolavori di pittura, come gli affreschi della Leggenda della vera Croce, dove si vede all’opera la ricerca e il perfezionamento del significato e delle tecniche della prospettiva che proseguiranno nel soggiorno romano. Questo segnerà una svolta nel suo itinerario matematico, dovuta anche alla circostanza di poter accedere facilmente ai testi di Euclide e Archimede dei quali si sentirà l’eco nei due scritti di Piero più espressamente matematici: il Trattato d’abaco che contiene, tra gli altri, interessanti risultati nella risoluzione delle equazioni di grado superiore al secondo; e il Libellus de quinque corporibus regolaribus dedicato al tema dei poliedri regolari e archimedei.
Ma è ampiamente debitore al Piero matematico anche il suo saggio più celebre, quello già citato sulla prospettiva – portato a termine nello stimolante ambiente culturale della Urbino rinascimentale. Nel De prospectiva all’obiettivo di mostrare la scientificità della prospettiva, «scientia necesaria alla pictura», si aggiunge quello di matematizzarla: dopo un insoddisfacente tentativo di tipo aritmetico, Piero decide di passare alla geometria; ovviamente secondo l’approccio abachistico, che lui sentiva più consono, ma i due studiosi mostrano come leggendo il saggio e confrontandolo con gli altri appaia evidente lo sforzo dell’autore per assimilare la formulazione euclidea della geometria. Ne risulta un’opera che mostra il concorso di diverse abilità, competenze, punti di vista e ben esprime le diverse identità dell’autore: pittore, grafico, matematico abachista, matematico euclideo.
Va aggiunta l’importante sottolineatura che con Piero non ci troviamo di fronte a un nuovo eclettico Leonardo: per lui non vale lo schema del genio poliedrico, dell’uomo universale del Rinascimento; siamo piuttosto di fronte a uno specialista in due ambiti precisi: la pittura e la matematica. E va anche notato che in lui «l’interesse per la matematica è sorgivo, nel senso che non deriva dalla pittura e gli studi che ha dedicato all’algebra lo dimostrano. È un interesse rivolto a tutta la matematica».
Il grande lavoro di ricerca di Gamba e Montebelli si esprime ulteriormente in modo consistente nella seconda parte del volume che presenta, col corredo di accurati disegni e grafici, sette approfondimenti la cui citazione è sufficiente a dare l’idea della ricchezza di un’opera alla quale non manca il pregio di una efficacia comunicativa; gli approfondimenti riguardano: L’Euclide di Piero, Le tecniche prospettiche di Piero, Da Euclide ad Archimede, Piero aritmetico e algebrista, L’eredità di Piero in campo prospettico, La prospettiva di Piero dal punto di vista della matematica moderna, I poliedri dopo Piero.
Enrico Gamba, Vico Montebelli
Piero della Francesca matematico
Egea, Milano 2022
554 pagine euro 35
Recensione di Mario Gargantini
© Pubblicato sul n° 85 di Emmeciquadro