Quest’anno il premio Nobel per la Fisica parla il linguaggio di tutti i giorni; almeno nei titoli. Chi infatti non si è imbattuto almeno qualche volta nelle fibre ottiche e nei loro vantaggi per i moderni sistemi di telecomunicazione? E chi non ha apprezzato la versatilità delle fotocamere digitali, che consentono di memorizzare, elaborare, cancellare una gran quantità di immagini con apparecchiature piccole, leggere e semplici da usare? Ebbene, senza le scoperte dei tre fisici premiati dalla Royal Swedish Academy of Sciences, queste meraviglie tecnologiche sarebbero ancora lontane.
I vincitori dell’edizione 2009 del prestigioso premio sono infatti il cinese Charles Kao che, alternandosi tra gli Standard Telecommunication Laboratories di Harlow e l’Università di Hong Kong, ha compiuto quelli che la motivazione ufficiale del premio indica come «i progressi senza precedenti relativi alla trasmissione della luce attraverso fibra per la comunicazione ottica». Gli altri due vincitori sono il canadese Willard Boyle e lo statunitense George Smith che nei laboratori della At&T hanno sviluppato un semiconduttore capace di registrare la luce e quindi funzionare da sensore per le videocamere e fotocamere digitali.
Dell’importanza di queste ricerche parliamo con Alessandro Farini, responsabile del laboratorio di Ergonomia e Psicofisica della Visione presso l’istituto Nazionale di Ottica Applicata del CNR di Firenze.
«Il Nobel della fisica va quest’anno a tre scienziati che sono coinvolti in due importantissimi sviluppi per quello che è il nostro mondo attuale. Il contributo di Kao è fondamentale per le fibre ottiche. Le fibre ottiche sono il modo con cui poter far scorrere un segnale ottico su lunghe distanze. La base teorica del loro funzionamento è abbastanza semplice, fondandosi sul principio della riflessione totale (quello cioè che porta il raggio luminoso a riflettersi e a non attraversare la superficie trasparente della fibra). Ma all’epoca in cui Kao comincio il suo lavoro le fibre ottiche avevano il problema delle enormi perdite. Le prime fibre avevano un fattore di attenuazione di 1.000 decibel al chilometro (dB/km), il che implicava che dopo 20 metri si era già perso il 99% dell’intensità del segnale. Il lavoro di Kao permise di capire che, facendo estrema attenzione al materiale con cui si realizzava il mantello (“cladding”) delle fibre ottiche, si potevano ridurre moltissimo le perdite. Il lavoro di Kao e la sua passione nel presentare i risultati mise in moto molti gruppi nel tentare di realizzare vetri di alta purezza adatti a realizzare le fibre ottiche. Si arrivò così a fibre con perdite di soli 4 dB/km».
Attualmente le fibre ottiche mantengono il 95% del segnale dopo un chilometro. Questo fa sì che le fibre ottiche siano attualmente il canale privilegiato per la trasmissione di dati, come ad esempio in Internet, dato che possono inviare svariati Terabit (cioè migliaia di miliardi di bit) al secondo, un milione di volte di più di quello che permettevano le onde radio cinquant’anni fa.
A Boyle e Smith si deve invece la realizzazione del CCD (Charge Coupled Device). «Il CCD è universalmente noto soprattutto perché è il supporto che viene utilizzato dalle macchine fotografiche digitali per registrare le immagini. La capacità dei CCD di registrare la luce, di trasformarla tramite effetto fotoelettrico in cariche elettriche e di passare l’informazione registrata in ogni elemento a un convertitore analogico digitale, rende il CCD l’elemento più comodo per realizzare sensori fotografici. Il CCD è nato ai laboratori della Bell Telephones, già noti per il Laser ed è nato anche grazie, come raccontano gli stessi Boyle e Smith, grazie al fatto che l’azienda mise in competizione il settore dei semiconduttori con quello dei supporti magnetici: o il CCD portava risultati o i fondi aziendali sarebbero stati tagliati. Come si vede oggi, la competizione portò risultati».