Tra i tanti incontri ravvicinati che animeranno la prossima notte di San Valentino, ce ne sarà uno tutto speciale: si svolgerà a decine di milioni di chilometri da noi e avrà come protagonisti una cometa e una navicella spaziale della Nasa che si sfioreranno (in gergo, flyby) a una distanza di appena 200 km. L’incontro non resterà segreto; anzi, sarà uno dei più osservati grazie alle (ci auguriamo) spettacolari immagini che la sonda invierà a Terra e che domani potremo già vedere sui vari siti predisposti.
Non è la prima volta che la cometa Tempel-1 viene avvicinata da uno strumento umano: è già accaduto durante il precedente passaggio (il suo periodo è di 5,5 anni) nel luglio 2004 quando la sonda Deep Impact le ha sparato contro da vicino un missile che ha lasciato una vistosa cicatrice sulla sua superficie.
Ora, con la nuova missione c’è la possibilità di comprendere meglio i processi che interessano le superfici dei nuclei cometari, documentando i cambiamenti che si sono verificati sulla Tempel-1, tra due passaggi successivi al perielio. Si potrà inoltre caratterizzare il cratere prodotto da Deep Impact per studiare la struttura e le proprietà meccaniche dei nuclei delle comete e chiarire i processi di formazione dei crateri.
Maperché studiare le comete?Le comete sono corpi affascinanti, che hanno entusiasmato ma anche terrorizzato gli antichi astronomi, così come i lettori di fantascienza o il pubblico dei film d’azione. La speciale collocazione negli spazi interplanetari, con le orbite ellittiche o paraboliche o iperboliche, fa di loro dei preziosi messaggeri celesti, portatori di informazioni sulla storia e sulla origine del Sistema Solare. In effetti, insieme agli asteroidi, sono oggetti che ancora conservano frammenti di materiali solidi coinvolti nella formazione del Sistema Solare oltre 4.567 milioni anni fa.
Circa la loro origine, ormai è ben noto che provengono dalla cosiddetta nube di Oort, un serbatoio di macigni cosmici situato a 50.000 Unità Astronomiche (1 UA equivale a circa 150 milioni di chilometri) dal Sole e composto da due regioni distinte: una nube sferica esterna e una nube a forma di disco interna, o nube di Hills. Gli oggetti nella nube di Oort sono in gran parte acqua, ammoniaca e metano allo stato di ghiaccio; si sarebbero formati più vicino al Sole per poi essere lanciati nello spazio lontano dagli effetti gravitazionali dei pianeti giganti durante le prime fasi dell’evoluzione del sistema solare.
Quando le comete sono lontane dal Sole, il loro nucleo è molto freddo e il materiale è solidificato all’interno del nucleo: sono indicate a volte come “iceberg sporco” o “palla di neve sporca”. A qualche UA dal Sole, la superficie del nucleo comincia a scaldarsi e il materiale volatile evapora; i gas di evaporazione trasportano piccoli grani che formano la chioma di gas e polvere. Avvicinandosi al Sole, si sviluppano le spettacolari code di materiale luminescente che si estendono per milioni di chilometri dalla testa in direzione opposta al Sole. Quando il nucleo è congelato, può essere visto solo dalla luce solare riflessa; quando si sviluppa la chioma, la polvere riflette la luce solare e il gas assorbe la radiazione ultravioletta e diventa fluorescente.
L’interesse per le comete non è soltanto astronomico: data la loro storia, esse conservano indizi importanti per ricostruire l’infanzia del sistema solare; ma potrebbero anche aver contribuito alla costruzione di alcune delle sostanze volatili che compongono i nostri oceani e la nostra atmosfera; e forse hanno qualche responsabilità nella comparsa sulla Terra delle molecole complesse da cui si è poi sviluppata la vita.
Ce n’è abbastanza per alzare l’aspettativa per il rendez vous di questa notte. La sonda che lo effettuerà si chiama Stardust-Next, dove l’aggettivo sta per New Exploration of Tempel; ma significa anche “prossima” in quanto c’era già stata una missione Stardust, lanciata nel febbraio 1999 e andata, per la prima volta, a raccogliere materiale extraterrestre da oltre la Luna. Ha raccolto infatti 56 kg di campioni della cometa Wild 2, riportandoli a Terra in un’apposita capsula che è atterrata nel deserto dello Utah il 15 gennaio 2006.
La sonda poi è stata riprogrammata e ne è derivata questa nuova missione, che è di tipo low-cost, a basso rischio, ed è pronta per l’appuntamento con Tempel-1, per regalarci 72 immagini ad alta risoluzione della chioma e del nucleo, così come accurate misure delle dimensioni, composizione e distribuzione del flusso di polvere emessa nella chioma. L’ora della massima intimità sarà alle 5:37 (ora italiana) del 15 febbraio, quando si potranno vedere dettagli della superficie del nucleo delle dimensioni di pochi metri.