La volontà di investigare come vanno veramente le cose è per certi versi irrefrenabile e insospettabilmente invasiva. Non ci sono infatti ambiti o fenomeni, anche quelli che si ritengono più marginali o già conosciuti, che possano a priori sfuggire a questo affinamento dello sguardo che lo sviluppo della ricerca comporta.
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È il caso dello zucchero e del suo “punto di fusione”: istintivamente siamo portati a pensare che la dolce sostanza possieda una ben determinata temperatura alla quale inizi a fondere, come – per esempio – il ghiaccio. In questo inconsapevole convincimento siamo confortati dalla letteratura scientifica ufficiale.
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Ma, andando a cercare quale sia questa benedetta temperatura a livello del mare oltrepassando la quale la sostanza zucchero da solida diverrebbe liquida, ci troviamo di fronte a una sorpresa: si scopre infatti che non esiste una cifra “ufficiale”, ma che il range entro cui essa varia è molto ampio. La ragione addotta “ufficialmente” è che lo zucchero contiene sempre impurità in quantità variabili e che le macchine con cui si fanno queste rilevazioni hanno differenze particolari dall’una all’altra.
Ma se così non fosse? Questa spiegazione è soddisfacente? Qualcuno ha preso sul serio questa questione e ha trovato qualcosa di sorprendente: lo zucchero in realtà non si scioglie, bensì si “decompone”.
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Shelly J. Schmidt, professoressa di chimica del cibo presso l’Università dell’IIlinois, ha presentato questa originale scoperta presso il suo dipartimento di Tecnologie Alimentari pochi giorni fa: «Abbiamo visto comportamenti differenti a seconda di quanto velocemente scaldavamo lo zucchero: questo ci ha portato a ritenere che le molecole avevano iniziato a rompersi come se fossimo ai margini di un processo cinetico». Schmidt e il suo gruppo hanno coniato un nuovo termine per definire il comportamento di materiali come lo zucchero: apparentemente fondenti.
Quello che accade a questi materiali oltre un certo punto di temperatura è di decomporsi invece che sciogliersi: i ricercatori impegnati con la professoressa Schmidt hanno impiegato una particolare tecnica ad alta performance di precisione – la cromatografia dei liquidi – per cercare di capire se il saccarosio fosse presente prima e dopo la “fusione”. E hanno scoperto che non lo era: «Non appena abbiamo rintracciato la fusione, componenti della decomposizione del saccarosio hanno iniziato a comparire».
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Lo stesso accade ad altri due zuccheri: il glucosio e il fruttosio. Adesso alcuni studenti del gruppo della Schmidt sono alla ricerca di altre sostanze – alimentari o di derivazione farmaceutica – che si comportano così: “La lista si allunga di giorno in giorno”, conferma la Schmidt.
Perché dunque il saccarosio non “fonde”? La ragione individuata dal gruppo dell’Università dell’Illinois è che in realtà il punto di fusione dipenda dalla velocità con la quale il calore viene somministrato allo zucchero. Questo fatto apre nuove e interessanti prospettive per esempio per chi produce farmaci o caramelle: «Certi gruppi di sapori ti danno un buon sapore per le caramelle, mentre altri danno amaro o sapore di bruciato. Ma gli scienziati alimentari saranno d’ora in poi in grado di realizzare più dei gusti desiderabili perché non devono andare a raggiungere la temperatura di fusione dello zucchero, ma possono invece mantenerlo su temperature più basse per un lungo periodo di tempo».
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E c’è dell’altro: «Questa scoperta è importante per gli scienziati alimentari come per gli amanti delle caramelle, perché consentirà di realizzare caramelle con gusto più invitante e strutture più allettanti. Ma questo offrirà – per esempio – alle case farmaceutiche una strada per migliorare gli eccipienti, il proverbiale cucchiaino di zucchero che aiuta a mandare giù la pillola».
Quello che resta da fare è stabilire una relazione tempo-temperatura precisa e verificabile, come la pastorizzazione del latte nell’industria casearia, per raggiungere i migliori risultati. Ma la Schmidt e il suo gruppo hanno già rivolto le loro attenzioni a un altro problema: il deterioramento dei cibi. «Potremmo muovere molto più cibo in giro per il mondo se riuscissimo a stabilizzarlo, evitando che vada a male».
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Per finire il lavoro sullo zucchero, quindi, altri dovranno darsi da fare. Chi? Ma è chiaro: i produttori di caramelle.