Quando pensiamo a un paesaggio naturale, pensiamo inevitabilmente a due principali caratteristiche: la morfologia (montagne, colline, pianure ecc.) e il tipo di vegetazione (latifoglie, conifere, arbusti ecc.). Siamo talmente abituati a vedere la vegetazione intorno a noi che dobbiamo sforzarci per immaginarci dei paesaggi senza di essa. Anche quando pensiamo ad un deserto, spesso immaginiamo anche un cactus o un arbusto. Gli unici paesaggi che immaginiamo senza vegetazione sono quelli in ambienti estremamente freddi: polari, o di altissima montagna.
Eppure la vegetazione, così come la vediamo oggi nella grande varietà di ambienti del nostro pianeta, non è sempre esistita. In realtà la Terra è stata priva di qualsiasi tipo di vegetazione per più dei 7/8 della sua storia. I primi vegetali comparvero verso la metà del periodo Ordoviciano, circa 465 milioni di anni fa, e si trattava di organismi molto semplici, come muschi e licheni. Le prime piante vascolari (dotate di linfa) comparvero invece verso la fine del periodo Ordoviciano, circa 15 milioni di anni più tardi. Con il passare del tempo le piante si sono evolute e diversificate, colonizzando sempre più la Terra e divenendo componenti fondamentali di quasi tutti i suoi ambienti.
Come è cambiata la faccia della Terra man mano che le piante si sono diversificate e che la vegetazione è diventata più rigogliosa? Questa è la domanda che affronta un recente studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience (“Paleozoic landscapes shaped by plant evolution”), in cui Martin R. Gibling and Neil S. Davies rianalizzano la storia della Terra con un interessante approccio: osservare come i paesaggi, soprattutto quelli fluviali, sono cambiati rispetto all’evoluzione della vegetazione. Per fare ciò gli autori studiano i sedimenti deposti dai fiumi durante le varie ere geologiche e li confrontano con il tipo di vegetazione caratteristica dei vari periodi.
In particolare notano che prima della comparsa delle piante vascolari, i fiumi avevano un corso molto variabile, con piccoli canali intrecciati e alvei pietrosi, simili a quelli di alta montagna. La diffusione della vegetazione ha provocato delle modifiche sostanziali perché le radici delle piante trattengono il terreno e in special modo le particelle più piccole che altrimenti sarebbero asportate dall’acqua e dal vento. Di conseguenza, colonizzando la terraferma, le piante hanno progressivamente stabilizzato i corsi d’acqua fino a conferirgli le forme meandreggianti, con curve ampie e sinuose, che sono molto comuni ai giorni nostri. Inoltre, questi corsi d’acqua più stabili hanno a loro volta favorito la formazione di suoli più spessi, permettendo la crescita di piante più grandi e con radici più profonde. Quindi le piante non hanno solo sfruttato la presenza dei corsi d’acqua, ma hanno esse stesse modificato gli ambienti in modo da poter proliferare.
Un altro ruolo fondamentale delle piante nella storia del nostro pianeta è analizzato dallo studio di Timothy M. Lenton e altri autori (“First plants cooled the Ordovician”), pubblicato sempre su Nature Geoscience. Le radici delle piante alterano le rocce presenti nel sottosuolo sia per via meccanica, fratturandole, sia per via chimica, cioè scomponendo le sostanze di cui le rocce sono fatte per estrarre gli elementi necessari al proprio nutrimento. In particolare, le piante estraggono dalle rocce il fosforo, che viene successivamente rilasciato nel terreno e trasportato dai fiumi fino ai mari e agli oceani.
Di conseguenza la proliferazione della vegetazione avrebbe aumentato notevolmente l’estrazione del fosforo e il suo flusso dal continente all’oceano. Il fosforo nell’oceano stimola la produzione di alghe ed altri organismi fotosintentici, che rimuovono CO2 dall’atmosfera. Lenton e gli altri ipotizzano che questa proliferazione di organismi fotosintetici nell’oceano, indotta indirettamente dalla diffusione delle piante vascolari sul continente, abbia provocato una drastica riduzione della CO2 atmosferica e quindi dell’effetto serra. Questo potrebbe spiegare, almeno in parte, l’inizio di un periodo freddo e di glaciazione avvenuto circa 450 milioni di anni fa, poco dopo la comparsa delle piante vascolari sulla Terra.
Questi due studi, oltre a mettere in evidenza il ruolo fondamentale della vegetazione nell’evoluzione dei paesaggi e del clima sulla Terra, sono anche due esempi interessanti di come leggere gli archivi geologici. Gli autori non presentano delle spiegazioni completamente esaustive, ma, come degli investigatori sulla scena del crimine, individuano degli indizi: cambiamento del tipo di sedimenti fluviali, comparsa dei fossili di piante, presenza di estesi depositi glaciali legati ad un periodo particolarmente freddo, ecc. Da questi indizi poi formulano delle ipotesi sullo svolgimento degli eventi: stabilizzazione dei terreni, aumento di fosforo negli oceani ecc. L’indagine è ancora in corso e in futuro si dovranno raccogliere ulteriori prove per poter verificare o confutare queste ipotesi. È un lavoro che ci consente di ricostruire in modo sempre più veritiero la storia più antica e complessa di tutte: quella del nostro pianeta.