“Attenda, la stiamo collegando all’oggetto desiderato”, era il titolo di un convegno organizzato nella primavera scorsa dalla School of Management del Politecnico di Milano e rendeva bene l’idea del grande mutamento che si sta verificando nella galassia delle ICT (Information and Communication Technologies). È un percorso di evoluzione tecnologica che sta vivendo una fase di accelerazione in una direzione fino a qualche anno fa insospettabile, che allarga a dismisura i “soggetti” protagonisti diretti della comunicazione in rete includendovi, accanto alle persone, anche gli “oggetti”. Lo documentano tante iniziative, come quella in corso in questi giorni a Barcellona dove si sta svolgendo l’Internet of Things World Forum, un evento nato su impulso principale di Cisco, ma che vede la partecipazione e la sponsorizzazione convinta di molti dei big mondiali della High Tech, come Oracle, IBM, Rockwell Automation, AGT, Schneider Electric, SAP, Zebra, Intel, Qualcomm e altri ancora. È un’evoluzione tecnologica di quelle dove il passo tra la potenzialità tecnica e l’applicazione su larga scala è brevissimo e che quindi rischia di tradursi subito in evoluzione sociale ed economica, andando a modificare strutture, comportamenti, ritmi e modi di vivere.
Basta considerare alcune cifre tra quelle illustrate al convegno milanese e derivanti dalla Ricerca 2012 dell’Osservatorio Internet of Things, promosso dalla stessa School of Management in collaborazione con il Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico. Cercando di misurare il livello di diffusione dei progetti di Internet of Things (IoT) e di stimare il valore di questo potenziale mercato nel nostro Paese, si è trovato che in Italia il numero di oggetti interconnessi tramite SIM dati – quindi con tecnologie di comunicazione cellulare – è arrivato a 5 milioni, crescendo del 25% rispetto al 2011 (contro il 13% dell’anno precedente). Si tratta di un mercato del valore di 810 milioni di euro, riguardante per il 43% progetti di nuova implementazione e per il resto estensioni di scala di progetti conclusi negli anni precedenti e attività di post-vendita. Ma cosa si intende in pratica con Internet of Things? Secondo una ricerca di Econocom, che ha collaborato all’indagine del Politecnico, «L’espressione Internet of Things descrive un percorso (già avviato) nello sviluppo tecnologico in base al quale, attraverso la rete Internet, potenzialmente ogni oggetto della nostra esperienza quotidiana acquista una sua identità nel mondo digitale. Alla base dell’Internet of Things vi sono gli oggetti intelligenti (smart object).
Un oggetto intelligente è contraddistinto dal possedere una o più funzionalità di self-awereness, interazione con l’ambiente circostante ed elaborazione dati, oltre che dalla capacità di connettersi e comunicare le informazioni possedute, raccolte e/o elaborate». L’Internet of Things – dicono al Politecnico – è «un paradigma tecnologico dal potenziale applicativo sconfinato, con una varietà di tecnologie abilitanti, che può avere impatti importanti sulle attività di imprese e pubbliche amministrazioni, oltre che modificare in meglio la vita delle persone. La sua diffusione nei vari ambiti dipenderà dall’esistenza di soluzioni tecnologiche consolidate e dal bilancio tra valore dell’informazione e costo di creazione della rete di oggetti intelligenti».
Gli esempi delle possibili applicazioni ormai non si contano: si va dall’autovettura che dialoga con l’infrastruttura stradale per prevenire incidenti, agli elettrodomestici di casa che si coordinano per ottimizzare l’impegno di potenza; dagli impianti di produzione che scambiano dati con i manufatti per la gestione del loro ciclo di vita, ai semafori che si sincronizzano per creare un’onda verde per il passaggio di un mezzo di soccorso; dai dispositivi medicali che si localizzano nel presidio di un pronto soccorso, agli sci che inviano informazioni sullo stato della neve o sulla severità di una caduta. A Barcellona si stanno spingendo ancor più avanti. Fra gli esempi che fanno da traino alla comunicazione del convegno – che è strettamente su inviti e con un pubblico molto selezionato – spiccano due immagini in qualche modo emblematiche. Una mostra due ragazzi che parlano, ma in realtà a parlare sono i due congegni che fanno la traduzione simultanea collegandosi con il cloud: sono due dispositivi di dimensioni minime, che possono essere applicati sulla maglietta o portati al polso e che traducono in real time 25 lingue migliorando ulteriormente le loro capacità linguistiche attraverso l’uso.
L’altra immagine è quella di una donna incinta che esibisce il suo pancione con incollato un “electronic tattoo”, cioè un sensore che raccoglie i dati del monitoraggio delle condizioni del feto e li trasmette direttamente sul Pc del medico. Queste e altre soluzioni ripropongono, potenziata dal fatto di utilizzare la rete internet, l’idea dell’informatica da indossare, il wearable computing; e si capisce anche da qui l’interesse delle aziende che fiutano il business: se è indossabile, vuol dire che potenzialmente tutti possono essere clienti, con evidenti conseguenze in termini di mercato. Per l’Italia comunque, al di là delle fughe in avanti, lo scenario più realistico prospettato dalla ricerca Politecnico- Econocom prevede come ambiti di maggior sviluppo dell’IoT le smart city e gli smart building. I rilevamenti effettuati lo scorso anno indicano che da noi le applicazioni di Internet of Things più diffuse sono nell’ambito Smart Car – cioè la connessione tra veicoli o tra questi e l’infrastruttura circostante – che riguarda il 42% del totale degli oggetti connessi. Seguono, con 1,4 milioni di oggetti intelligenti, lo Smart Metering – cioè i contatori intelligenti per la misura dei consumi, la corretta fatturazione e la telegestione – e lo Smart Asset Management nelle Utility, ovvero la gestione in remoto di asset di valore. C’è poi il 9% delle applicazioni che riguarda il cosiddetto Smart Home & Building, vale a dire la gestione automatica di impianti e di sistemi per risparmio energetico, comfort, sicurezza: quelle più diffuse sono relative all’antintrusione e alla gestione da remoto di impianti come quelli di riscaldamento e raffrescamento, o il telemonitoraggio degli impianti fotovoltaici. Infine, tra le altre soluzioni consolidate la ricerca segnala il 5% di applicazioni di Smart Logistics per la gestione delle flotte aziendali: sono soluzioni che sfruttano la localizzazione satellitare dei mezzi a supporto delle attività di routing e per il monitoraggio del processo di trasporto.
Sempre al Politecnico fanno rilevare che in Italia appare ancora limitata la diffusione di soluzioni che facciano ricorso a tecnologie di comunicazione diverse da quella cellulare; non mancano però situazioni promettenti, come ad esempio l’illuminazione pubblica, dove i lampioni interconnessi possono consentire di ridurre i consumi energetici e i costi di manutenzione. Le novità tuttavia, in questi campi, attecchiscono con grande rapidità; e non stupirebbe trovare, nell’indagine alla fine di questo 2013, un panorama già mutato, con oggetti, sistemi e nomi nuovi. Intanto, vista l’impossibilità di delimitare il parco delle applicazioni, c’è già qualcuno che propone di cambiare almeno l’acronimo: non IoT ma IoE, ovvero Internet of Everything (IoE), cioè Internet di “tutte” le cose.