L’emergenza Ebola rimane altissima negli Stati dell’Africa Occidentale. Al 14 ottobre l’Organizzazione mondiale della sanità parla di 9216 casi sospetti e 4555 decessi in Guinea, Liberia, Sierra Leone, Nigeria, Senegal (oltre che Spagna e Usa). Nel 1955 la scienza sconfisse la poliomelite grazie al lavoro di Jonas Salk, mentre oggi il mondo è sotto la minaccia di Ebola. Quali sono le difficoltà di trovare il vaccino e, conseguentemente, di renderlo disponibile su larga scala? Lo abbiamo chiesto a Adriano Lazzari, professore ordinario di Malattie Infettive presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. “Allora, anzitutto essendo un virus RNA, cambia. Dunque, trovare un vaccino universale contro il virus significa individuare quell’anticorpo che funziona anche contro le mutazioni del virus stesso (se ne sono visti quattro tipi in una trentina d’anni). Non è detto che il bacino potenziale ancestor (il primo individuato) sia uguale a quello odierno, dell’ultima generazione di Ebola, nei Paesi africani colpiti dall’epidemia”. Questo cosa significa? “Non si è certi che la popolazione che ha subito la prima ondata epidemica sia per forza di cose protette dalla seconda. Bisogna, in poche parole, capire se l’anticorpo è specifico nei confronti dell’epidemia in corso. È comunque vero che l’uso del siero dei guariti è una delle pratiche di somministrazione terapeutiche di immunoglobulina che vengono oggi considerate nella prospettive di affrontare la piaga”. Il professore di ricorda però che il vaccino è lo strumento per proteggere la popolazione, non quello per guarire la malattia: “Per difendersi dall’infezione bisogna considerare l’estensione dell’epidemia. Nell’etica morale è indubbio che se si scopre un vaccino praticabile per l’Ebola vada vaccinata la popolazione degli Stati interessati. Che però tutti siano chiamati a farlo non è certo detto”.
Da circa sessant’anni la poliomelite è sconfitta. Il merito è soprattutto di un uomo: Jonas Stalk. Il batteriologo e virologo statunitense – nato a New York il 28 ottobre del 2014 – nel 1955 fece uscire il mondo dall’incubo della malattia, scoprendo il vaccino che avrebbe cambiato la storia della medicina dopo un lavoro durato 7 anni insieme a un team di esperti. Al professore Adriano Lazzarin (esperto di malattie infettive e professore e primario al San Raffaele) abbiamo voluto chiedere un parere in merito alla storica diatriba pro e anti vaccino: “Io, per mestiere, sono di parte. Non c’è storia: le complicanze del vaccino devono essere confrontate con le possibili complicanze che dà una malattia, e non soltanto con le giornate di morbilità, cioè quanti giorni uno sta a casa e come sopporta la febbre. Insomma, gli elementi a sostegno delle complicanze vaccinali (come encefalite e autismo) sono da dimostrare. È da verificare, dunque, il rapporto causa-effetto. Poi, se la vaccinazione dà problemi a livello di sistema nervoso centrale, vuol dire che allora anche il virus naturale ha le stesse potenzialità”. Il professore ci fa quindi un esempio: “Gli antagonisti dei vaccini dicono: 100.000 persone fanno l’influenza e io vaccino un migliaio, si hanno tot volte di probabilità in più di generare in modo artificiale iatrogeno una patologia che diversamente non avrebbero preso. Bene, io dico che questo è ovviamente un aspetto tenuto sotto considerazione dalle Istituzioni di salute pubblica. Il ragionamento lo si fa sul rapporto tra quanti casi possono essere colpiti (indipendentemente dalla mortalità), e qual è la mortalità del vaccino naturale”.
“Non c’è nessun brevetto. Lei brevetterebbe il sole?”. Questa la risposta che Jonas Salk diede al suo intervistatore in un celebre video che circola in Rete. Era il 1952 e al medico che sviluppò il primo vaccino antipolio chiesero chi fosse il proprietario del brevetto: “Beh, la gente, direi. Non c’è nessun brevetto”, rispose lui tranquillamente. Salk non brevettò il vaccino, ma anche se avesse voluto farlo non avrebbe comunque potuto, in quanto le regole della Fondazione glielo avrebbero impedito. Se il vaccino fosse stato regolarmente brevettato, è stato calcolato che avrebbe avuto un valore intorno ai 7 miliardi di dollari. Clicca qui per vedere il video dell’intervista
Nel 1955 la scoperta ad opera di Jonas Stalk del vaccino contro la poliomelite sconfisse un mostro che per decenni attaccò la popolazione mondiale. In occasione del centesimo anniversario della nascita dello scienziato (nato a New York il 28 ottobre 1914), IlSussidiario.net ha contattato Adriano Lazzarin, professore ordinario di Malattie Infettive presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, che ci ha parlato della rivoluzionaria vittoria della medicina a metà anni ’50: “Il valore della scoperta di Stalk è inestimabile. La patologia aveva un impatto micidiale, più sulle sequele inaccettabilmente invalidanti (vista la sua azione sul sistema nervoso centrale) che sulla mortalità, nonostante una sintomatologia acuta abbastanza modesta”. Lazzarin prosegue: “I risultati ottenuti sono stati eccezionali. Pensiamo infatti che per funzionare un vaccino deve avere una penetrazione molto elevata nella popolazione nel quale viene fatta: i Paesi che hanno adottato la vaccinazione come pratica obbligatoria la malattia è stata eradicata”. Con il professore abbiamo dunque parlato delle pratiche vaccinali: “Due vie le vie percorribili: parenterale e orale. Oramai la parenterale è predominante – anche per applicabilità (vista la somministrazione sottocutanea o intramuscolare) rispetto alla formulazione per via orale, ma i risultati non è che si discostino più di tanto, anzi”.
Jonas Salk fu nominato il “padre della biofilosofia” dal New York Times nel 1966. Il giornalista Howard Taubman scrisse: “Egli non dimentica mai […] che esiste ancora una vasta oscurità che l’uomo deve penetrare. Come biologo, crede che la sua scienza sia una nuova frontiera per straordinarie scoperte; come filosofo, è convinto che umanisti e artisti si siano uniti agli scienziati per raggiungere un grado di comprensione dell’essere umano in tutta la sua complessità fisica, mentale e spirituale. Interscambi di questo tipo potrebbero portare, e Salk lo spera, ad una nuova ed importante scuola di pensatori, da designare come biofilosofi”. La biofilosofia è descritta da Salk come “punto di vista biologico ed evoluzionista a problemi filosofici, culturali, sociali e psicologici”. Ne parla in due dei suoi libri, “Man’s Unfolding”e “The Survival of the Wisest”. “Penso che le nozioni biologiche forniscano analogie utili a comprendere la natura dell’uomo. La gente pensa alla biologia come a questioni pratiche quali i farmaci, ma il suo contributo alla conoscenza dei sistemi viventi e di noi stessi sarà ugualmente importante. […] Nelle epoche passate, l’uomo aveva a che fare con la morte, l’alto tasso di mortalità; i suoi atteggiamenti erano anti-morte e anti-malattia. In futuro, essi saranno espressi in termini di pro-vita e pro-salute. Il passato è stato dominato dal controllo della morte; in futuro, il controllo della nascita sarà più importante. I cambiamenti che stiamo osservando sono parte di un ordine naturale e mettono alla prova la nostra capacità di adattamento. È molto importante cooperare e collaborare. Noi siamo, insieme alla natura, i coautori del nostro destino”, disse in un’intervista del 1980. Per lo scienziato il biofilosofo è “qualcuno che attinge alle Sacre Scritture della Natura, riconoscendo che noi siamo il prodotto del processo di evoluzione, e comprende che siamo diventati il processo stesso, grazie all’emergere e all’evolversi della nostra coscienza, della nostra consapevolezza, della nostra capacità di immaginare e anticipare il futuro e di scegliere tra più alternative”.
Jonas Salk nasce il 28 ottobre del 1914. Nel 1934 si diplomò in Scienze presso il City College di New York e dopo frequentò la New York University School of Medicine, appassionandosi agli studi di batteriologia. Laureatosi alla fine degli anni Trenta, si mise a cercare un laboratorio dove essere assunto come ricercatore, faticando non poco. Ottenne un finanziamento per lavorare a un progetto di ricerca per un vaccino antinfluenzale nel Michigan con il virologo Thomas Francis. Fu un grande successo, tanto che nel 1947 Salk riuscì ad ottenere la direzione di un laboratorio presso l’Università di Pittsburg, dove mise su un laboratorio di virologia e si concentrò allo studio di alcuni vaccini per la febbre. Fu contattato dal responsabile della National Foundation for Infantile Paralysis, proponendogli di collaborare alla ricerca per debellare la poliomielite e Salk accettò. Nel novembre del 1953 annunciò che avrebbe testato personalmente il vaccino sperimentale e anche la sua famiglia acconsentì a fare altrettanto, questo al fine di dimostrare l’efficacia e la sicurezza. Nella primavera del 1955, il vaccino fu dichiarato funzionante e sicuro. Da qui la produzione di centinaia di milioni di dosi, richieste da tutto il mondo, e i casi di mortalità legati alla poliomielite diminuirono notevolmente. Dopo i successi del vaccino, che non fu brevettato, Jonas Salk fondò il Salk Institute for Biological Studies a La Jolla in California, un centro che esiste da allora e che si occupa delle ricerche nei campi della biologia. Negli anni Ottanta, lo scienziato si mise a lavorare a un vaccino contro l’HIV. Un’impresa che si rivelò difficile, e che non fu compiuta: Salk morì infatti a causa di un infarto il 23 giugno 1995 all’età di 80 anni.
Nel 1947 Jonas Edward Salk accettò un incarico alla Scuola di Medicina dell’Università di Pittsburgh, per iniziare nel 1948 uno studio finalizzato a determinare i tipo di versi del virus, finanziato dalla National Foundaton for Infantile Paralysis. Per sette anni il dottore, insieme a un team di ricerca, si dedicò alla sviluppo di un antidoto: lo trovò. Era la primavera del 1955 (il 12 aprile) quando il dottor Thomas Francis Junior, responsabile delle controanalisi, dichiarò al mondo che il vaccino contro la piaga era sicuro ed efficace. L’annunciò arrivò dall’Università del Michigan e risuonò nelle radio e negli altoparlanti di tutto il Paese, che fece festa. Il farmaco funzionava nell’80-90% dei casi (con possibilità di perfezionarlo fino al 100%). L’indomani le prime pagine dei quotidiani a stelle e strisce aprivano con una foto dello scienziato e scritte trionfali: “Il vaccino di Salk funziona!”, “La polio è sconffita”, “L’uomo dei miracoli”. Il lungo e terribile incubo era finito.
Anche Google celebra oggi Jonas Salk con un doodle. In una strada di New York, dove il medico nacque nel 1914, al centro dell’immagine campeggia la figura di Jonas Salk, in camice bianco, circondato da bambini e genitori festanti: sulla sinistra un padre tiene sulle spalle il figlio che tra le mani ha un giornale, davanti a lui un bambino “legge” il giornale in cui viene annunciata la scoperta del vaccino contro la polio; più a destra due bambini giocano insieme tenedosi per mano. A destra del dotto Salk due bambini sorreggono un cartello con scritto “Thank you Dr Salk”, un altro bambino corre con dei palloncini; una mamma guarda estasiata suo figlio che scende dalla scale, mentre all’estrema destra un bambino rincorre il suo cane. Tutti i protagonisti del doodle sono felici, sorridono e ballano, grati a quel dottore con gli occhiali che ha debellato una mallatia che colpiva principalmente i bambini.
Nei due anni prima che il vaccino pensato dal dottor Salk entrasse in uso, i casi di poliomielite negli Stati Uniti erano più di 45mila. Nel 1962 scesero a 910. Un risultato incredibile che la dice lunga sull’importanza del vaccino da lui scoperto. Ma di cosa si parla quando si parla di poliomielite? Intanto va detto che la parola come quasi sempre coi termini medici deriva dal greco: poliòs, cioè grigio, e myelòs, cioè il midollo spinale con anche il suffisso -itis che sta a indicare l’infiammazione dello stesso. Dunque una infiammazione del midollo spinale. Un virus che è anche altamente contagiose diffondendosi tra le persone soprattutto via oro-fecale. Va detto però che nel 90% dei casi l’infezione di polio non crea sintomi particolari, ma solo se il virus entra nella circolazione del sangue. Nell’1% dei casi poi entra nel sistema nervoso centrale dove colpisce i neuroni motori portando a debolezza e poi a paralisi, che è diversa a seconda dei nervi colpito. La poliomielite spinale è la più diffusa e porta alla paralisi delle gambe. La polio bulbare invece paralizza i nervi cranici e la polio bulbospinale mette insieme paralisi bulbare e spinale. La poliomielite ha cominciato a diffondersi nel XX secolo, prima era quasi del tutto sconosciuta anche se si sa che gli antichi egizi ne furono colpiti e che nel 1789 il medico inglese Michael Underwood ne diede una efficace descrizione. Fu a partire dal 1880 che si diffusero epidemie in Europa e poi di conseguenza negli Stati Uniti. Migliaia le persone colpite, specie i bambini, in molti casi deceduti per soffocamento quando il virus portava alla paralisi del diaframma. Le epidemie divennero diffuse moltissimo a partire dal primo decennio del novecento, spesso d’estate e soprattutto nelle grandi città per le ancora scarse condizioni igieniche. Fu così che ci si convinse della necessità di trovare un vaccino.
Jonas Salk era un batteriologo e virologo che fu una figura chiave per combattere la poliomielite, un vero e proprio flagello negli Usa e che aveva creato una psicosi collettiva nel paese a stelle e strisce. Analogamente a quanto sta accadendo in questi giorni con la psicosi scatenata dal virus Ebola. Certo, le proporzioni del contagio di Ebola sul territorio degli Stati Uniti, e i malati di poliomielite che beneficiarono del lavoro e delle scoperte di Jonas Salk non sono minimamente paragonabili dal punto di vista numerico. Resta però il fatto che a cento anni dalla nascita di Jonas Salk, negli Usa la psicosi di una epidemia virale è galoppante (complice l’arrivo dell’influenza stagionale) e il fatto che il focolaio mondiale della malattia sia in Africa riporta alla luce – se ce ne fosse bisogno – una volta di più i problemi irrisolti dell’integrazione afroamericana nel paese. Ovviamente i tempi sono cambiati, eppure un morto per Ebola sul suolo americano fa più scalpore di 30mila causati dalla classica influenza (le proporzioni sono queste). Ma allora cosa c’entra Jonas Salk con l’Ebola? Semplice. In occasione dell’anniversario (che ricordiamo è “rotondo”, ovvero 100 anni esatti) il motore di ricerca americano Google lo ha voluto ricordare con un logo dedicato. Strategia comunicativa insolita, per chi osserva da vicino le scelte di Mountain View, ma anche molto “patriottica”. Gli Stati Uniti sono in preda all’incertezza per una epidemia, proprio come al tempo di Jonas Salk. E quale messaggio alla nazione è più capillare di questo per tranquillizzare la popolazione americana in tutto il mondo? Forse nessuno, e per questo il doodle dedicato a Jonas Salk risulta esso stesso un potente vaccino per le psicosi di massa: un popolo che ha “prodotto” l’uomo che scoprì il primo vaccino contro la poliomielite (e il cui istituto, il Jonas Salk Institute, si era persino avvicinato a trovare un vaccino per l’AIDS) può permettersi di cadere nel panico per una epidemia (fortunatamente) ancora virtuale?