L’identikit di Ötzi, l’uomo preistorico ritrovato nel 1991 mummificato sulle montagne dell’Alto Adige, si sta ormai delineando con precisione. L’Uomo venuto dal ghiaccio era un maschio adulto, alto circa 160 cm e al momento della morte doveva avere circa 46 anni: un’età considerevole per la sua epoca, l’inizio dell’età del Rame (3300-3100 a.C.). Dal quadro clinico emerge che era in buona salute, benché non manchino prove di una malattia cronica non meglio identificata e indicatori degenerativi dovuti all’età con manifestazioni di stress psico-fisico nelle settimane immediatamente precedenti la morte. L’alta quantità di arsenico nei capelli dimostra la frequente partecipazione alla lavorazione di minerali di rame.
L’analisi del contenuto intestinale ha evidenziato la presenza di uova di tricocefalo: un parassita che, nei casi più gravi, può provocare dissenteria e forti dolori. Le caratteristiche fisico-genetiche corrispondono bene a un tipo antropologico alpino. Recenti ricerche sul contenuto dell’intestino hanno rivelato che poco prima di morire aveva mangiato una purea o del pane di farro, carne di stambecco e cervo e verdure imprecisate. I pollini presenti nell’intestino dimostrano che dodici ore prima della morte si trovava ancora in Val Venosta. Ricerche sugli isotopi hanno rivelato che l’uomo aveva passato la sua infanzia a sud dello spartiacque alpino, molto probabilmente nella Val d’Isarco o Val Pusteria; in seguito era passato in una zona diversa, forse in Val d’Adige. Un caso fortunato quello di Ötzi per gli archeologi, che si sono visti regalare dal cambiamento climatico una imprevista opportunità di osservazioni altrimenti impossibile. Ma non è il solo. C’è un singolare “aspetto archeologico” legato al ritrarsi dei ghiacciai che permette di rivelare cose che, per lungo tempo, sono rimaste e sconosciute. L’aumento delle temperature registrato negli ultimi decenni, fattore scatenante del massiccio scioglimento dei ghiacciai alpini, sta portando alla luce molti reperti che ci raccontano emozionanti storie del passato, vissute dai nostri antenati nelle zone montane dell’arco alpino.
E ogni nuovo ritrovamento suscita la medesima domanda: cosa ha spinto l’essere umano sulle alte montagne nel corso dei secoli? La neve e il ghiaccio congelano oggetti, storie e destini, mentre il loro scioglimento ce li restituisce a distanza di millenni o di secoli, dando così vita a un ramo relativamente recente della ricerca storica: l’archeologia dei ghiacciai. Spesso sono gli alpinisti, come è stato nel caso di Ötzi, a imbattersi in questa “eredità umana”. Legno, metallo, pelle, tessuto e molti altri materiali si conservano in modo ottimale, grazie alle bassissime temperature e all’assenza di luce e aria; l’unica minaccia è costituita dalle immense forze che i movimenti dei ghiacciai esercitano su di essi.
Questi elementi nascosti ci mettono a confronto con le storie e i destini dei nostri antenati, testimoniando che l’uomo si spinge da sempre verso le quote più inospitali delle Alpi, nonostante il freddo, la neve e le condizioni climatiche pressoché insostenibili. Cosa induce le persone a percorrere i ghiacciai? Da lunedì scorso a Bolzano, nello stesso Museo Archeologico dell’Alto Adige che ospita la star Ötzi, è allestita una mostra temporanea (starà aperta fino al febbraio 2015) che può offrire importanti suggerimenti per rispondere a questi e altri interrogativi. La mostra si intitola “Frozen Stories. Reperti e storie dai ghiacciai alpini” e mette in luce una caratteristica inaspettata del cambiamento climatico che ha consentito agli studiosi, e ora anche a noi, di seguire le tracce di uomini vissuti in età preistoriche o successive, ricostruendone obiettivi, vicende e tragedie.
Nell’esposizione si possono osservare oltre 30 reperti originali che abbracciano un arco di tempo molto esteso, dall’età del Rame fino al 20° secolo; sono stati rinvenuti sui versanti meridionali dei ghiacciai alpini e nelle regioni limitrofe e molti esposti per la prima volta. Un percorso multimediale su una superficie di 300 m², corredato da animazioni, video, immagini e reperti originali, illustra chiaramente il fenomeno dei ghiacciai e il contesto naturale che fa da sfondo alle storie “glaciali”. Al di là dell’interesse puramente archeologico, ciò che risalta sono gli aspetti umani, per quanto noti o ricostruibili, celati e narrati da ogni reperto. I reperti illustrano infatti i diversi aspetti della vita vissuta dagli uomini sulle montagne. Ce ne sono di originali ad esempio sul tema della caccia: come una punta di corno di stambecco del 1520-1190 a.C. ritrovata da Helmuth Gufler sul Monte del Cumulo (Alto Adige); ma anche un più recente orologio da taschino del 19° secolo rinvenuto sul Grossglockner (Austria).
Ci sono ritrovamenti interessanti sul tema dei commerci e delle comunicazioni: come le quattro ghette, la calzatura e i calzini dell’800–500 a.C, trovate presso le Vedrette di Ries (Alto Adige); o la scarpa in pelle di epoca romana, affiorata a Schnidejoch (Svizzera). Molti reperti sono, prevedibilmente, sui temi dell’alpinismo e della guerra: singolari, tra tanti, le ossa del cranio, armi, monete e calzature di un soldato del 16° secolo (presumibilmente al servizio di Casa Savoia) trovato a Passo Theodul e conservato nel museo svizzero del Vallese L’ordine d’esposizione segue, dunque, i motivi che hanno spinto, e spingono tutt’oggi, l’uomo a recarsi nelle aree innevate: la caccia, il commercio, la guerra o il moderno alpinismo quale sport avventuroso nel tempo libero. Ciascuno dei reperti cela una storia di coraggio, necessità o disperazione, consentendoci di gettare uno sguardo del tutto particolare al destino dell’uomo alle massime altitudini.