FOTONICA/ Addomesticare la luce per spiare l’interno dei circuiti ottici

- int. Francesco Morichetti

Da oggi è possibile misurare l'intensità lunimosa senza ssorbire nemmeno una particella di luce, grazie al nuovo sistema CLIPP. Ne parla FRANCESCO MORICHETTI

clipp_foto Un circuito fotonico con microcontrollori termici e CLIPP

Misurare l’intensità luminosa senza assorbire nemmeno un fotone (una particella di luce): si direbbe una mission impossible; è un po’ come calcolare la portata di un liquido che scorre all’interno di un tubo, senza far uso di rubinetti o di sonde che ne disturbino il flusso. E invece due ricercatori del Politecnico di Milano hanno dimostrato che è possibile, realizzando il primo “osservatore di luce” non invasivo: un dispositivo molto semplice, costituito da due contatti metallici (solitamente d’oro) del diametro di un capello (100 micrometri) e posti ben distanti dal fascio di luce per non perturbarne le caratteristiche.

Il sistema, denominato CLIPP (ContactLess Integrated Photonic Probe), effettua una misurazione a distanza, senza contatto, ma allo stesso tempo è così sensibile da permettere di “spiare i fotoni”, di seguirne le orme e individuare dove e quando sono passati; è una possibilità, finora inedita, di osservare i fotoni senza distruggerli, per non distruggere anche l’informazione che portano.  

L’invenzione è stata ideata, realizzata e brevettata da Francesco Morichetti e Marco Carminati, due giovani assegnisti del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria (DEIB) del Politecnico di Milano, che l’hanno descritta in un articolo sulla rivista della IEEE Selected Topics in Quantum Electronics. La rilevanza del risultato scientifico è stata “messa in luce” (possiamo proprio dire così!) anche da Nature Photonics, la rivista di riferimento nel mondo della fotonica.

Aumentano così le nostre capacità di manipolare i segnali luminosi e sfruttarne appieno le potenzialità; allo stesso tempo viene fatto un grande passo verso la penetrazione delle tecnologie fotoniche nella vita di tutti i giorni, aprendo scenari che vanno dai biosensori ultrasensibili, ai data center ad elevatissima capacità, ai computer ottici. Ne parliamo con Francesco Morichetti.

Come funziona il dispositivo CLIPP, su che principi si basa?

Il dispositivo CLIPP misura l’intensità di luce che passa in una guida ottica sfruttando le piccole, ma inevitabili, modifiche delle caratteristiche dal materiale indotte dal passaggio dei fotoni. Ad esempio, nei circuiti ottici realizzati in silicio, una delle tecnologie più impiegate nella fotonica integrata, il passaggio della luce genera una piccola e temporanea quantità di cariche elettriche sulla superficie. Per semplificare, possiamo dire che la guida ottica può essere vista come un filo (di larghezza inferiore a meno di un millesimo di millimetro), la cui resistenza elettrica cambia leggermente in base a quanta luce sta transitando all’interno.

Che cosa avete “misurato” esattamente?

Siamo riusciti a misurare la proprietà prima indicata attraverso un sistema di rivelazione elettrico estremamente sensibile in grado di osservare piccolissime variazioni di conducibilità del materiale. Questo viene fatto attraverso dei contatti messi a distanza, quindi senza toccare la luce e senza rubare neanche un fotone. In sostanza, la luce non si accorge che la stiamo osservando.

Come è nata la vostra ricerca?

Il risultato ottenuto è il frutto di una collaborazione nata meno di due anni fa tra due gruppi di ricerca del Politecnico di Milano, il gruppo di fotonica integrata (in cui lavoro da più di dieci anni), guidato dal prof. Andrea Melloni, e il gruppo di strumentazione elettronica, guidato dal prof. Marco Sampietro. La formula magica sta proprio nella diversità, e quindi nella complementarità, delle nostre competenze.

Noi fotonici sospettavamo da tempo che la luce lasciasse qualche traccia del suo passaggio, ma sapevamo anche che stavamo dando la caccia a qualcosa di estremamente piccolo. È per questo che abbiamo cercato di affiancarci ad esperti di misure ad elevata precisione. Ora abbiamo finalmente trovato il tassello che mancava per raggiungere l’obiettivo che perseguiamo da anni, addomesticare la luce.

Come siete arrivati al risultato?

I circuiti ottici hanno potenzialità enormi e in settori come l’interconnessione dati ad elevatissima velocità e la biosensoristica sono studiati con molto interesse. Ma per realizzare circuiti ottici evoluti, in grado cioè di svolgere molte funzioni, è necessario avere degli strumenti di controllo, dei sensori a bordo in grado di fornire informazioni su cosa sta succedendo all’interno del circuito. Adesso noi sappiamo come leggere queste informazioni e quindi sappiamo dove poter agire per modificare a nostro piacimento il funzionamento del circuito.

In quale linea di ricerca si colloca la vostra attività sperimentale?

Quanto abbiamo dimostrato è uno degli obiettivi chiave di un progetto di ricerca europeo iniziato, alla fine del 2013 (www.bboi.eu), di cui siamo coordinatori, che mira a colmare i gap tecnologici mancanti per una crescita esplosiva dei dispositivi fotonici. In questo settore la competizione a livello internazionale è molto forte perché sono in molti a credere nelle potenzialità delle tecnologie fotoniche in settori chiave dell’ICT e delle bioscienze.

Il sistema è già pronto per essere utilizzato in applicazioni pratiche o richiede di essere ingegnerizzato o adattato agli specifici utilizzi?

Sono stati costruiti e testati sperimentalmente con successo diversi prototipi. In base agli specifici utilizzi, sono stati progettati e realizzati sistemi elettronici dedicati di supervisione, che sono in grado di integrare sia la parte di lettura del segnale ottico che la generazione di segnali di controllo per modificare lo stato di funzionamento del chip ottico. Una sorta di meccanismo “leggi e correggi”, in cui l’elettronica ordina e la fotonica obbedisce.

Ad oggi abbiamo dimostrato la possibilità di controllare una manciata di dispostivi fotonici integrati su uno stesso chip. Per applicazioni che non richiedono elevata numerosità di dispositivi, il sistema è pronto per essere utilizzato. Ma siamo solo all’inizio. Sfruttando l’elevata scala di integrazione e la parallelizzazione dei circuiti elettronici integrati, miriamo a realizzare interi sistemi ottici integrati su un solo chip, aumentando di almeno un fattore cento la complessità raggiunta dagli attuali circuiti fotonici. Questo sarà l’obiettivo della nostra attività di ricerca dei prossimi anni.





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