Anche nello spazio interstellare ci sono gli “tsunami” e recentemente a registrarne il contraccolpo è stata la sonda Voyager 1 della Nasa, uno degli oggetti più importanti della giovane storia spaziale, che sta ritornando protagonista delle cronache scientifiche; e che sarà protagonista di una delle mostre del prossimo Meeting di Rimini, la mostra “Explorers”, curata dall’Associazione Euresis.
L’importanza della missione Voyager è legata alla sua lunga avventura: si tratta di due sonde gemelle, lanciate nel 1977, che hanno continuato a funzionare in tutti questi 37 anni. L’obiettivo iniziale della missione era esplorare Giove e Saturno ma, raggiunto questo scopo primario la missione è stata estesa, diventando la Voyager Interstellar Mission.
Così Voyager 2 è riuscita a sorvolare Urano e Nettuno ed è l’unica sonda ad aver visitato questi pianeti esterni; la Voyager 1, partita poco dopo ma più veloce, si è spinta oltre e ha raggiunto un traguardo fino a poco prima impensabile: ha toccato i limiti della Eliosfera, la zona di influenza del Sole, e sta procedendo verso la nube di Oort, il gigantesco serbatoio dove vengono generate le comete.
Voyager I è l’oggetto più veloce e più lontano da Terra mai costruito dall’uomo. Il 25 agosto dello scorso anno la Nasa ha annunciato ufficialmente che la sonda Voyager 1 ha superato il Termination Shock, cioè il confine tra la Eliosfera e lo spazio interstellare, entrando nella Eliopausa. Ma come hanno fatto gli scienziati del JPL (il Jet Propulsion Laboratory di Pasadena che ha in carico la missione) a sapere che il fatidico limite è stato oltrepassato?
Tutto dipende dall’attività del Sole. Anzitutto c’è il vento solare, cioè un flusso continuo di particelle (dette anche raggi cosmici) e campi magnetici che si propaga dal centro verso l’esterno del Sistema solare. A un certo punto però il vento solare si indebolisce e si scontra col vento stellare, originando la frontiera dell’Eliosfera. Quello che hanno misurato i fisici un anno fa è stata la diminuzione di densità dei raggi cosmici solari e la corrispondente crescita del plasma interstellare che si genera in altre parti della Via Lattea. Era il primo segnale che si era varcato il confine.
Poi sono arrivati gli tsunami. Il Sole passa attraverso periodi di maggiore attività, nei quali capita che avvengano fenomeni esplosivi che espellono materiale dalla sua superficie lanciando verso l’esterno. Questi eventi, chiamate espulsioni di massa coronale (CME), generano onde di pressione che si propagano fino agli estremi del sistema e oltre, appunto come tsunami. Se incontrano una zona densa di plasma interstellare, le particelle di questo plasma iniziano ad oscillare, come boe investire da uno tsunami. Il Voyager ha a bordo strumenti, ancora funzionanti, che registrano sia l’onda d’urto proveniente dal Sole sia le oscillazioni del plasma e il tipico “suono” che ne deriva.
È così che nell’autunno scorso è stato riconosciuto uno di questi fenomeni causati da un CME prodottosi sul Sole nel marzo 2013. E recentemente ne è stato misurato un altro, prodotto da un’esplosione solare nel marzo 2014 e che ha raggiunto ora il plasma che circonda il Voyager facendolo “suonare”: le misure hanno confermato la presenza di plasma con una densità pari a quella misurata in precedenza, a conferma che ormai il volo del Voyager procede spedito oltre la Eliosfera.
Qualche tempo fa Edward Stone, Project Scientist della missione dal 1972 e direttore del JPL dal 1991 al 2001, aveva detto: «Quando i Voyager vennero lanciati nel 1977 l’età spaziale prevista per le due navicelle era di vent’anni. Molti di noi nel team sognavano di raggiungere il mezzo interstellare, ma veramente non potevamo avere modo di sapere quanto lungo avrebbe potuto essere il viaggio, o se questi due veicoli sui quali avevamo investito tanto tempo ed energia avrebbero funzionato abbastanza a lungo per raggiungerlo». Ora si può affermare che il sogno di Stone si è ampiamente realizzato.