Il dibattito sulla controversa pratica di usare tessuti fetali per le ricerche salvavita è arrivato negli Stati Uniti fino al Congresso. Per decenni i pro-vita, coloro che sono cioè contro l’aborto, chiedono che venga proibito l’uso di fondi federali per sostenere la ricerca che usa tessuti fetali umani. E ieri si è tenuta un’udienza davanti a due sottocomissioni della Camera dei Deputati che stanno valutando alternative. Poiché “ha proprietà molto simili a quelle che posseggono i corpi viventi sviluppati, il tessuto fetale può essere usato come modello per i ricercatori”, scriveva nel 2015 il rapporto del Congressional Research Service. E infatti, secondo dati governativi, il sistema sanitario americano investe circa 100 milioni di dollari all’anno per la ricerca sui tessuti fetali umani. Dei tre scienziati che hanno testimoniato ieri, due sostengono che ci siano diverse alternative etiche all’uso del tessuto fetale umano, tra cui midollo osseo, cellule staminali e loro derivati. Il terzo scienziato invece sostiene che «le alternative menzionate possono essere utili a volte, ma non possono sostituire del tutto il tessuto fetale», perché ha «proprietà uniche», quindi ha concluso che è «essenziale» per la ricerca biomedica.
TESSUTO FETALE, ANTI-ABORTISTI: “NON SERVE PER RICERCHE SALVAVITA”
Lo scontro tra pro-vita e sostenitori dell’aborto negli Stati Uniti è forte perché in ballo ci sono ricerche sul morbo di Alzheimer, sul morbo di Parkinson sull’Hiv-Aids. Limitare l’uso del tessuto fetale ostacolerebbe la ricerca scientifica che sta studiando farmaci salvavita e cure per varie malattie, quindi il rischio è di paralizzare la ricerca e lo sviluppo di terapie. Chi è contro l’aborto invece sostiene che ci siano alternative efficaci e non controverse, come cellule staminali adulte, organi cerebrali e topi “umanizzati”, cioè topi a cui viene applicato tessuto umano. E sostengono di avere le prove. «Non abbiamo bisogno di parti del corpo di bambini abortiti per ottenere progressi scientifici e medici», ha dichiarato la ricercatrice Tara Sander Lee, schierata tra i pro-vita. È stato sollevato ad esempio il caso di una donna sopravvissuta alla sclerosi multipla usando tessuti adulti. «Ricordo molto chiaramente cosa ho provato quando i dottori mi hanno detto che stavano esaurendo le opzioni». Per disperazione si è sottoposta a terapie con cellule staminali adulte, una decisione che le ha salvato la vita. «È come se la mia vita sia ricominciata. Ho avuto una nuova chance». Una soluzione potrebbe essere rappresentata dunque anche dai topi “umanizzati”, creato con tessuto non fetale. Servono però test scientifici rigorosi per capire se possono essere utile per la ricerca. Intanto negli Stati Uniti si consuma lo scontro. L’obiettivo del Congresso è di arrivare ad un compromesso perché l’obiettivo comune deve essere progredire la ricerca per alleviare le sofferenze di tanti malati.