SCIENZ@SCUOLA/ Anche la matematica ha bisogno di … parole

- Chiara Biscaro

Possedere le parole nel loro significato è una attrezzatura indispensabile per l’apprendimento della matematica, almeno quanto conoscere le tabelline, o saper usare riga e compasso.

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Nella scuola italiana si sta allargando la sensibilità a una significativa integrazione didattica tra le varie discipline. In particolare questo tema è maggiormente presente all’attenzione di chi insegna matematica, ambito disciplinare particolarmente osservato per le sue criticità.
Molti comprendono la rilevanza che ha la collaborazione sistematica tra l’apprendimento della lingua e l’apprendimento della matematica, ma la pratica didattica non riesce ancora a dedicare spazio e azioni a tale aspetto.   Serve infatti una visione consapevole e aperta per riconoscere quanto un adeguato lavoro sulla lingua possa rivelarsi positivo ed efficace per sbloccare o migliorare l’apprendimento della matematica.
La riflessione e l’esperienza proposte sono un contributo e uno stimolo a cercare strade in questa direzione.

«Ogni insegnante è un insegnante di italiano»: considero questa affermazione profondamente vera, penso che ogni insegnante, per poter trasmettere la propria disciplina ai ragazzi, debba essere in grado di parlare correttamente e finemente la lingua, conoscerne le peculiarità e le etimologie. Partendo da qui, ho cominciato a riflettere su quanto una buona preparazione sulla lingua potesse preparare e sostenere anche l’apprendimento della matematica, a cominciare dalla scuola primaria.


Dove sta il problema?

Così iniziai a rendere più acuto il mio sguardo su ciò che mi accadeva in classe. Se nel ciclo precedente, tutto sommato, i bambini avevano imparato senza molte complicazioni a leggere, scrivere e far di conto, nel lavoro in matematica della nuova classe cominciai a osservare negli alunni, tra la fine della seconda e l’inizio della terza, diffuse difficoltà nella risoluzione di problemi, per esempio nell’individuare la domanda nel testo, o nell’inventare testi per situazioni problematiche.
Riscontravo incapacità nell’individuare e nel trascrivere i dati – gli elementi chiave per poter risolvere problemi – ed emergeva quasi una impossibilità a formulare e comunicare i propri procedimenti o le proprie scoperte, come se i bambini non riuscissero a reperire parole per esprimere il loro pensiero, parole di cui evidentemente nemmeno erano in possesso.
Le verifiche spesso risultavano inesatte ed era scorretta persino la rappresentazione mediante disegno del testo del problema, alcune proprio scollegate dal contesto.
Mi risultava chiaro che, se le difficoltà si evidenziavano a partire dal lavoro in matematica, le loro cause non erano da ricercare solamente nel rapporto con la matematica, non si potevano attribuire a incertezza nel calcolo mentale o a scelte distorte e casuali delle operazioni da fare: gli errori non erano che il sintomo di un problema più nascosto, che era determinante intercettare per tentare di risollevare la situazione.
Guidata dall’intuizione che in qualche modo le difficoltà nascessero dalla relazione tra matematica e italiano, confermata dall’osservazione costante dei miei alunni al lavoro, in quel ciclo allora iniziai a sperimentare un lavoro corposo sulla lingua.


Il lavoro parte da lontano: dare le parole

 Cambiai anche il modo di programmare e cercai di mettere sempre più in dialogo tutte le discipline tra loro, avendo estrema cura di tenere insieme in particolare gli apprendimenti di matematica e di italiano. Per esempio, per il lavoro linguistico di comprensione del testo mediante domande, programmavo un’unica attività, funzionale a entrambi gli ambiti, variavo solo i contenuti dei testi, a volte storici, di narrativa o scientifici, sempre con il medesimo obiettivo.
Raccolsi uno spunto determinante dall’incontro con un ex alunno della scuola di Barbiana di don Milani, quando citava ciò che il priore diceva sempre: «Se non diamo le parole ai ragazzi, i ragazzi non potranno comprendere la Parola».
Fui incoraggiata ad andare a fondo della mia intuizione, presi sul serio l’affermazione di don Milani, e decisi di lavorare in modo particolare proprio sulle parole, perché i bambini potessero conquistare le parole di cui mancavano, parole adatte a dar voce alla loro esperienza, sia esistenziale sia matematica.

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Chiara Biscaro

(Docente presso la Scuola Primaria “Sant’Ambrogio” di Seregno).

Il lavoro descritto è stato presentato nell’anno scolastico 2017-2018 nell’ambito del Gruppo di Ricerca di Matematica, «Educare Insegnando», promosso dall’Associazione Culturale “Il Rischio Educativo”, coordinato da Raffaella Manara e Armida Panceri.

© Pubblicato sul n° 83 di Emmeciquadro







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