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Home » Educazione » SCUOLA/ Come cambia il ricevimento genitori tra fiducia, utilità e conflitto

  • Educazione

SCUOLA/ Come cambia il ricevimento genitori tra fiducia, utilità e conflitto

Giorgio Ragazzini
Pubblicato 30 Novembre 2022
(LaPresse)

(LaPresse)

Come dovrebbe avvenire, a scuola, l'incontro tra docenti e genitori. Il cosiddetto ricevimento, infatti, oggi è più importante che in passato

Che la sintonia tra scuola e famiglia sia di grande importanza e possa influire positivamente sul rendimento e sul comportamento degli allievi sembrerebbe pacifico. Tuttavia il come coltivare questo rapporto solo raramente entra a far parte della formazione e dell’aggiornamento degli insegnanti. Eppure non da oggi una sollecitazione in questo senso viene dagli episodi di aggressione fisica o verbale nei loro confronti da parte di madri e padri scalmanati: un numero di casi relativamente basso, ma indicativo di un peggioramento della considerazione in cui è tenuta la scuola. E il modo in cui i rapporti con le famiglie vengono concretamente realizzati può senz’altro contribuire all’apprezzamento della qualità professionale dei docenti, nonché al prestigio di un istituto.


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Ci sono in primo luogo gli aspetti organizzativi. La riuscita di un incontro dipende anche dal luogo in cui si svolge. Protezione della riservatezza, tranquillità, un ambiente curato – possibilmente, dunque, una stanza ad hoc – evitano distrazioni e comunicano cortesia e rispetto. I genitori non dovrebbero aspettare il proprio turno in piedi nei corridoi, ma avere almeno la possibilità di sedersi. Nei limiti del possibile, sarebbe giusto che il ricevimento avvenisse su appuntamento, come già avviene in alcune scuole. Disporre, a un’ora certa, di un tempo sufficiente per parlarsi, invece di aspettare in coda, per poi magari doversi accontentare di un incontro frettoloso, genera senza dubbio un senso di maggior considerazione. In questo modo, inoltre, chi lavora può sapere in anticipo per quanto tempo dovrà assentarsi.


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Al ricevimento mattutino si aggiunge in genere quello pomeridiano, soprattutto in considerazione delle difficolta di chi lavora. In genere si tratta di due soli pomeriggi all’anno, con l’inevitabile sovraffollamento e un vero e proprio tour de force per i docenti con più classi e per i genitori costretti a lunghe attese.

Una parte di questi problemi, quella del tempo limitato messo a disposizione dei genitori per i colloqui, è originata da una normativa insufficiente. Il contratto della scuola, infatti, prevede che sia il consiglio d’istituto, su proposta del collegio dei docenti, a definire le modalità, la frequenza e il tempo “per assicurare un rapporto efficace con le famiglie”, mentre l’ora di ricevimento è in realtà solo una prassi consolidata. Su questa base, e nonostante la grande disponibilità di moltissimi docenti, è difficile per la singola scuola assicurare qualcosa di più del minimo indispensabile. È doveroso quindi che questo impegno così necessario venga meglio definito e riconosciuto, anche economicamente.


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Detto della necessità di un’organizzazione più vicina a quella che tutti consideriamo doverosa quando andiamo da un professionista di qualsiasi genere, è certamente il piano del rapporto personale con le madri e i padri degli allievi quello decisivo. Una maggiore preparazione per gestirlo e utilizzarlo favorisce la costruzione di una buona sintonia sul piano educativo, fondamentale per far sì che all’allievo-figlio arrivino messaggi coerenti dalla scuola e dalla famiglia.

Inoltre, se si crea un clima di fiducia reciproca, i genitori possono essere fonte di informazioni utili ai docenti per conoscere meglio i propri allievi, con l’avvertenza che anche il tipo di domande e il modo di porgerle dovrebbe essere oggetto di una riflessione, al pari di come nell’ascolto si può trasmettere interesse e rispetto. Si dovrebbe anche tenere conto di quelle che la pedagogista Vittoria Cesari Lussu ha definito “le componenti sommerse della relazione”, tra cui quella probabilmente più diffusa è la paura di essere giudicati genitori non adeguati in base ai risultati e ai comportamenti dei figli.

E come ci si comporta di fronte a eventuali critiche, a modi scortesi, a sconfinamenti dell’interlocutore nel campo della didattica? Un docente dovrebbe essere preparato a evitare il tipo di reazioni che, nel linguaggio corrente, si indicano con l’espressione “farne una questione personale”, sforzandosi di mantenere l’autocontrollo. Del resto, il fatto stesso di pensare al colloquio come a un momento che comporta una specifica competenza professionale, facendone oggetto di confronto e di aggiornamento, già di per sé avvia una salutare presa di distanza dal coinvolgimento emotivo.

Se poi un genitore dimostra un’evidente incapacità di dialogare e diventa irrispettoso, bisogna evitare di farsi trascinare in un crescendo di botte e risposte, facendo presente che non ci sono le condizioni per proseguire in modo costruttivo.

In conclusione, anche se credo che siano molti i docenti in grado di condurre il ricevimento in modo appropriato basandosi sull’esperienza e sulle proprie attitudini relazionali, è però vero che la perdita di autorità di maestri e docenti e il diffondersi via social della presunzione di poter discutere con competenza su tutto hanno creato un terreno fertile per tensioni e conflitti prima rarissimi. Di qui il fatto che sia oggi necessario, ma anche interessante, dedicare la giusta attenzione a questo aspetto della professionalità di chi insegna.

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