La bozza del decreto Aiuti-bis approvata dal Consiglio dei ministri lo scorso 4 agosto prevede al capo VI (Istruzione) l’istituzione di una nuova figura professionale nel mondo della scuola: il docente esperto. Queste in rapida sintesi le parole del testo: “I docenti di ruolo che abbiano conseguito una valutazione positiva nel superamento di tre percorsi formativi consecutivi e non sovrapponibili… possono accedere alla qualifica di docente esperto e maturano conseguentemente il diritto ad un assegno annuale ad personam di importo pari a 5.650 euro che si somma al trattamento stipendiale in godimento”.
Si specifica poi che la qualifica di docente esperto “non comporta nuove o diverse funzioni oltre a quelle dell’insegnamento”, se non l’obbligo a “rimanere nella istituzione scolastica per almeno il triennio successivo al conseguimento di suddetta qualifica”.
Il primo contingente di tale nuova categoria, pari a 8mila unità, entrerà in attività nel 2032/2033, in seguito all’espletazione dei tre percorsi formativi (si presume dunque triennali) da regolamentare in sede di contrattazione collettiva (cioè con i sindacati) nell’anno scolastico 2023/2024. E nel caso in cui detto regolamento non sia emanato, la bozza precisa che le modalità di valutazione del docente saranno comunque definite transitoriamente dal Miur.
La bozza in realtà si pone in continuità con la legge 29 giugno 2022 n. 79 (conversione del decreto legge 36/2022) relativa all’attuazione del Pnrr, nella quale la formazione in servizio articolata in percorsi triennali (in taluni casi obbligatoria, in altri volontaria) prelude all’istituzione di “figure di sistema”.
Si pone anche in continuità con l’integrazione del DL 59/2017 in vigore dal 30 giugno 2022 (art. 16 ter) nella quale si fa riferimento a “promuovere lo sviluppo delle figure professionali di supporto all’autonomia scolastica e al lavoro didattico e collegiale”.
Per fare un veloce punto della situazione, è chiaro che in questo caso, come d’altra parte nell’insieme della filosofia che sottende la legge 79/2022, ci si trova di fronte all’assoluta novità di un governo tecnico (ormai agli sgoccioli) che ha inteso “tecnicizzare” la funzione docente, sottraendola alla dialettica sindacale e inscrivendola nell’albo delle “professioni”. Il docente esperto, infatti, come si deduce dalla bozza, non si distingue necessariamente dagli altri colleghi (non-esperti) per un insegnamento più prolifico, ma per essersi sottoposto a tre triennalità di formazione, a cura (è ipotizzabile) della Scuola di alta formazione dell’istruzione (ente concepito proprio per gestire tutta la formazione). Ora, se si intende procedere alla formulazione per legge di una carriera professionale del docente italiano (applausi!) perché intenderla come percorso esclusivo all’interno della scuola di Stato, per di più valutato da super-esperti di un super-ente formativo statale? Nascerà sì il docente esperto, ma dalla coscienza e dal sapere imposto dall’esterno. Docente esperto “di Stato”, non certo di umanità.
Possiamo affermare tutto ciò con un minimo di attendibilità? Crediamo di sì. Per due motivi: primo, il docente esperto è tenuto a restare nello Stato per un altro triennio dopo la acquisita qualifica; secondo, l’esperienza professionale acquisita in precedenza non conta nulla, se non come titolo in caso di parità di punteggio con altri concorrenti al termine del percorso formativo (che sarà prevalente su tutto il resto).
Dunque si sta delineando una carriera del docente italiano che non è “del” docente italiano (ovvero di un “soggetto” che può vantare un certo portfolio, può avere insegnato anche in scuole non statali e può continuare a volerlo fare, possedere determinati titoli, avere alle spalle già una carriera di docente formatore, ecc.) ma di un “oggetto” che a determinati costi e con il riscontro di indubbi benefici dovrà incrementare la “macchina” dell’istruzione.
Per molte ragioni, in questi ultimi anni la scuola italiana è stata caricata di competenze procedurali (sicurezza, salute, assistenza) che in altri tempi non aveva. Anche la didattica è diventata una procedura alla quale il docente si è adattato. Si è persa la memoria di una scuola come luogo di assimilazione, verifica e produzione di visioni del mondo, cioè culture. Evidentemente, il docente esperto è stato pensato come supporto di un tale sistema. È inevitabile arrendersi a questo stato di cose? È proprio terminata l’era del cinghiale bianco, in cui ci si interessava del bene dei propri alunni attraverso il “sapere” e non solo le garanzie procedurali?
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