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Home » Educazione » SCUOLA/ Dati Ocse, la lezione dei Paesi Ue che non ristagnano: per migliorare serve “metodo”

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SCUOLA/ Dati Ocse, la lezione dei Paesi Ue che non ristagnano: per migliorare serve “metodo”

Tiziana Pedrizzi
Pubblicato 8 Maggio 2025
(Ansa)

(Ansa)

La storia di sette Paesi Europei attraverso le indagini Ocse-Pisa insegna: per migliorare l’istruzione occorrono tempo e misure di supporto

OCSE ha iniziato nel 2000 il ciclo delle indagini standardizzate internazionali PISA con un obiettivo esplicitato di policy, cioè quello di suggerire, sulla base di dati concreti, le modalità di organizzazione e funzionamento dei sistemi scolastici da realizzare per massimizzarne i risultati, anche sulla base delle best practices dei Paesi che avessero avuto risultati positivi in assoluto e/o avessero migliorato.


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Il problema è però che, dopo almeno 25 anni, i risultati della maggioranza dei Paesi, quelli dell’Unione Europea in testa, ristagnano, sia in termini assoluti, sia in relazione ai fattori di equità (background economico-sociale e nazionalità, con la sola eccezione del genere che invece ha visto un evidente miglioramento). Non sembra inoltre che siano stati individuati strumenti di sistema utili a migliorare e a contrastare significativamente i fattori che ancora risultano determinanti, appunto cioè lo status economico-sociale, il genere, l’appartenenza nazionale.


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Questo è molto chiaro soprattutto per i sistemi del vecchio mondo occidentale – Europa e mondo anglosassone internazionale – mentre migliorano in modo evidente i Paesi asiatici ed altri, come i Paesi arabi. Lo ha evidenziato il primo rapporto europeo sul tema del gennaio 2024 a cura del Direttorato generale per l’Educazione – The twin challenge of equity and excellence in basic skills in the EU. An EU comparative analysis of the PISA 2022 results. La percentuale di europei al di sotto del livello considerato accettabilità continua ad assestarsi intorno al 22,5% in lettura, al 22,9% in matematica ed al 22,3% in scienze. Questa situazione si è deteriorata dal 2009 al 2018 ed i risultati 2022 in ulteriore peggioramento sono stati attribuiti, anche se con significative riserve da parte della stessa OCSE, agli effetti del Covid.


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In precedenza – in coerenza con la mission di OCSE – era già stata rilasciata nel 2022 un’analisi delle caratteristiche dei Paesi europei che nel periodo 2009-2018 hanno registrato miglioramenti, sia pure di non grande rilievo: Successful PISA stories in the EU: how some Member States have been able to improve their performance over time. Final Report.

Ne risulta che negli ultimi due cicli di PISA analizzati (2015 e 2018) sostanzialmente nessuno Stato membro della EU ha migliorato in modo significativo i risultati in lettura, solo la Lettonia, la Polonia e la Slovenia lo hanno fatto in matematica e solo la Polonia in scienze. Prendendo in considerazione invece un periodo più ampio, dal 2006 al 2018 si registrano i seguenti risultati: in Bulgaria nel periodo fra il 2006 ed il 2012 miglioramento della performance media e riduzione del sotto rendimento, ma con peggioramento successivo, in Estonia nel periodo fra il 2009 ed il 2018 miglioramento della performance media e riduzione del sotto rendimento, in Lettonia nel periodo fra il 2009 ed il 2018 miglioramento della performance media e riduzione del sotto rendimento, in Polonia nel periodo fra il 2006 ed il 2018 miglioramento della performance media e riduzione del sotto rendimento, in Slovenia nel periodo fra il 2009 ed il 2015 miglioramento della performance media in matematica e scienze e fra il 2012 ed il 2015 in lettura e riduzione del sotto rendimento, in Portogallo nel periodo fra il 2006 ed il 2018 miglioramento della performance media e riduzione del sotto rendimento, in Svezia nel  periodo fra il 2012 ed il 2018 miglioramento della performance media e riduzione del sotto apprendimento.

Ritroviamo questa sostanziale stabilità dell’insieme dei Paesi EU anche nelle tendenze relative alla ineguaglianza ed esclusione. Confermati rispetto a tutta l’ampia precedente letteratura anche i fattori determinanti dei risultati degli allievi: background individuale e famigliare in termini di status economico-sociale (fra cui svetta la presenza di libri in casa), genere, background etnico-culturale, linguistico e di migrante, percorso scolastico in termini di tipo di scuola scelto e di eventuali ripetenze. Significativo il fatto che l’unico campo nel quale si è registrato un universale successo è stato quello relativo alle differenze di genere.

Fra i fattori determinanti del parziale miglioramento si possono annoverare più di 4 periodi di matematica alla settimana (Estonia, Lettonia e Portogallo), il clima disciplinare (in tutti i Paesi tranne Portogallo), la cooperazione percepita fra studenti, il supporto da parte dei docenti e il loro interesse (Svezia), la mancanza di bullismo (Portogallo e Slovenia), un maggiore senso di appartenenza (Estonia).

Per ognuno dei Paesi e dei fattori ipotizzati come causali del miglioramento è stata presentata un’indagine statistica particolarmente sofisticata ed approfondita, arricchita da indagini qualitative aggiuntive consistenti in colloqui con gli stakeholders.

I cambiamenti strutturali messi in atto nei 7 Paesi per contrastare la rigidità nel definire le traiettorie scolastiche e le ineguaglianze consolidate sono stati: l’allungamento dell’istruzione obbligatoria (Polonia e Slovenia), l’investimento nell’assistenza e nell’istruzione nell’infanzia (Bulgaria), la riorganizzazione della rete scolastica (Portogallo), la diversificazione dei percorsi attraverso la formazione professionale (Slovenia, Svezia), lo sviluppo delle competenze principalmente con riforme del curricolo accompagnate da valutazioni relative.

Le riforme del curricolo (Estonia, Lituania e Polonia) hanno incluso aspetti relativi all’enfasi sul benessere, all’attivazione dell’allievo, all’abilità nella soluzione dei problemi e nella navigazione in un mondo incerto, accompagnate dall’autonomia degli insegnanti e delle scuole nel mettere in atto e mediare il cambiamento di policy. Ma, sempre secondo il Rapporto, la decentralizzazione è efficace solo quando ci sono valutazioni allineate, cosa che non sempre, come in Bulgaria e Lettonia, si è realizzata. Da ultimo si deve registrare la focalizzazione delle policy su equità e qualità con un set di misure relative quali ritardare la canalizzazione (Polonia), prevenire le bocciature (Portogallo), introdurre reti di supporto (Estonia).

Fra i 7 Paesi sono state applicate modalità statistiche più efficaci perché longitudinali solo in questi casi:

– In Bulgaria il prescuola ha avuto un effetto positivo, sebbene l’effetto possa essere visto come relativamente piccolo (8 punti sulla scala PISA). Il fatto che questo rimanga visibile dopo una decade – poiché è misurato sugli studenti quindicenni – mostra la sua importanza e significato. In aggiunta l’analisi statistica ha mostrato che la riforma ha in qualche misura avuto successo nell’avere come obiettivo gli studenti socio-economicamente svantaggiati, per quanto non abbia assicurato l’accesso alla scuola superiore a tutti i vulnerabili.

– In Polonia ritardare la formazione professionale di un anno ha significativamente migliorato la media PISA fra il 2000 ed il 2006; gli studenti che avrebbero intrapreso il percorso professionale, se la riforma non fosse stata realizzata, sono quelli che hanno più beneficiato della riforma.

– In Portogallo l’obiettivo era quello di ridurre le percentuali di ripetenza. I risultati hanno mostrato che ciò ha un effetto positivo sulle performance degli studenti che ne hanno beneficiato, quelli che secondo il loro profilo avrebbero ripetuto un anno prima della implementazione del programma.

I risultati porterebbero, secondo il documento stesso, a mettere in luce i limiti di una metodologia meramente statistica non longitudinale, cioè su più step temporali. Da una parte i fattori determinanti dei 7 Paesi sono già ben documentati nella letteratura e la maggior parte, come i fattori di background, non sono ovviamente influenzabili dalle policy. Anche l’analisi dei fattori di scuola non porta a conclusioni rigorose, perché o sono limitati a 1 o 2 Paesi, o sono ovvietà (le ore di matematica), o sono di natura circolare (il clima disciplinare determina le prestazioni o viceversa?). Per superare questi limiti è stato applicato un approccio misto: approcci statistici sofisticati per misurare gli effetti di riforme specifiche, consultazioni interattive con gli stakeholders per contestualizzare i risultati quantitativi e capire meglio i processi di implementazione delle riforme.

Lo studio si conclude infatti con raccomandazioni di policy: le misure assunte devono essere integrate, senza contraddizioni o competizioni reciproche, debbono essere accompagnate da misure di supporto, debbono avere il tempo di svilupparsi grazie alla stabilità politica o alla condivisione delle visioni, pur fra governi diversi. Altre raccomandazioni: le decisioni relative a materie come i contenuti del curricolo o le prove di valutazione nazionali dovrebbero essere affidate al un organismo non politico nominato per una lunga durata, ci si dovrebbe focalizzare su equità e qualità in egual misura, si deve partire dal presupposto che i benefici possono richiedere tempo per materializzarsi, si deve costruire attraverso la comunicazione e la consultazione il consenso e la collaborazione da parte di insegnanti e stakeholders, ed infine è necessario utilizzare pilotaggi e monitoraggi del contesto.

In conclusione, l’importante documento afferma che spiegare le storie di successo in PISA è sfidante (eufemismo per “difficile”) in quanto il successo in termini di miglioramento osservato è piuttosto limitato. E che perciò “le conclusioni su riforme efficaci e promettenti non ci sono ancora”.

Si osserverà che le riforme positivamente intraprese, almeno in modo parziale, sono molto diversificate. Probabilmente ciò deriva anche dalla precedente situazione sociale ed istituzionale, se non dalla storia dei diversi Paesi, ma ancora una volta nei presupposti ideologico-culturali delle indagini OCSE-UE questo non viene preso in molta considerazione, nemmeno in casi abbastanza ovvi come quello della Slovenia in cui le scelte relative allo sviluppo della formazione professionale potrebbero derivare dalla sua precedente appartenenza all’Impero austro-ungarico ed al suo parziale gravitare fra il mondo slavo e quello dell’Europa Centrale.

Altresì viene in evidenza che la maggior parte di questi Paesi appartiene alla zona nord dell’area ex comunista: una spiegazione storica potrebbe essere che si tratta dei Paesi che avevano, al momento dell’inserimento nel sistema russo sovietico, un sistema economico sociale relativamente avanzato e che perciò hanno avuto meno difficoltà a recuperare il terreno perduto. Il che tra l’altro spiega anche il loro posizionamento nell’attuale panorama politico e strategico europeo.

Viene da affiancare a queste osservazioni una riflessione sul cosiddetto effetto Flynn, secondo il quale il livello di QI sarebbe cresciuto dal 1938, data di inizio delle rilevazioni, fino agli anni 90 in 20 Paesi presi in considerazione – Europa e Stati Uniti ma anche Kenya, Turchia, Arabia Saudita, Cina e Sudan – con una incidenza di 3-4 punti ogni 10 anni. Cause discusse il cambiamento del sistema educativo-sociale o fattori biologici (alimentazione e stili di vita).

In uno studio danese del 2004 però si sarebbe cominciato a verificare, per ora in Danimarca, Norvegia e Gran Bretagna, il cosiddetto effetto Flynn inverso, cioè una progressiva diminuzione di tale effetto che potrebbe essere arrivato al suo termine nei Paesi sviluppati, ma essere ancora riscontrabile nei Paesi in via di sviluppo. Alcuni ricercatori tendono ad attribuirne la responsabilità non tanto al contesto della società e famigliare, quanto alla formazione scolastica, all’utilizzo di videogiochi, all’abbandono della lettura e all’uso diffuso di sostanze stupefacenti. Queste informazioni hanno avuto un certo, limitato rilievo anche nella pubblicistica italiana dell’inizio di quest’anno, senza essere peraltro penetrati nel mondo della scuola.

Un bel po’ di cose su cui riflettere, anche nell’attuale dibattito italiano sul curricolo, a prescindere dai rispettivi presupposti ideologico- culturali delle fazioni in causa.

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