Commozione. Questa è la parola per descrivere la statura umana quando la vedi elevarsi davanti agli occhi. È accaduto qualche giorno fa con gli studenti delle classi V del liceo che dirigo. Eravamo a un incontro cui abbiamo invitato Filomena Lamberti, la prima donna sfregiata con l’acido dal marito che aveva deciso di lasciare dopo 30 anni di matrimonio e di maltrattamenti. Nel progettare l’orientamento secondo le Linee guida del ministro Valditara e l’educazione civica abbiamo deciso che i ragazzi ascoltassero testimoni – vivi o morti, ha detto un docente – cioè del presente e del passato, ma capaci di parlare al cuore dell’uomo. Di suscitare riflessioni. Di svegliare dall’apatia della velocità e della parola soporifera.
Raccontare storie, ascoltare voci, leggere a voce alta, farsi domande. Insieme. Altrimenti ci smarriamo nella giungla delle progettazioni curricolari, delle competenze disciplinari e trasversali. Ci interessa non perdere di vista le persone mentre, da tecnici di scuola, costruiamo percorsi (di recupero, di potenziamento). Così, semplicemente, ci siamo dati una bussola. Si chiama testimone, potenza della parola, cuore, persona. Ma la commozione non l’ha suscitata solo Filomena Lamberti che ha raccontato di sé per quasi un’ora nel silenzio – mai distratto – di tutti noi. Mi ha stupito il tempo di attenzione dei ragazzi. E anche il modo in cui si sono aggiustati sulle sedie man mano che i minuti passavano. Sapete come siedono i ragazzi quando si preparano al supplizio dell’ascolto forzato: infossati sulle sedie come se esse potessero più comodamente inghiottirli sperando che tutto passi presto. In quelle pose in cui magari nascostamente possano consultare il cellulare per essere in un mondo più interessante di quello presente.
Li ho visti piano piano sedersi compostamente, con le spalle e le teste protese in avanti per ascoltare meglio. Come quegli esercizi che ti fanno fare al pilates per sciogliere, vertebra dopo vertebra, la colonna. Riporto un inciso della narrazione della nostra testimone perché è quello che ha suscitato gli interventi dei ragazzi. Le parole che hanno pronunciato accendendo in tutti noi la commozione di questo racconto. Filomena Lamberti ha detto che non si assolveva da tutte le colpe, che non esistono situazioni in cui hai “solo” ragione e un altro, per quanto sia il carnefice, torto. E lei si rimprovera che durante i lunghi anni di maltrattamenti subiti davanti ai figli avesse scelto di non versare mai una lacrima. Perché questo voleva dire dimostrare che era una donna coraggiosa.
Una falsa prospettiva – ha detto –, il coraggio non è l’assenza delle lacrime. Non è la presunzione che i forti sono quelli che non si piegano. Perché puoi indurre un ragazzino a pensare che anche le botte siano normali. E poi è accaduta una cosa veramente straordinaria. Quando abbiamo chiesto ai ragazzi di intervenire liberamente, con domande e considerazioni, prima si è alzata una ragazza e ha detto: io ho sempre consolato e accarezzato mamma dopo che papà la picchiava. Le ho asciugato le lacrime tante volte, mia mamma è una donna coraggiosa. Poi è intervenuto un ragazzo. Balbuziente. Primo di quattro figli. Ci ha raccontato, pian piano – ma nessuno si è distratto dietro all’incespicare delle sue parole – come lui e la sorella avessero trovato il coraggio di dire al proprio padre violento che era arrivato il tempo di separarsi dalla madre. E, prevedendone la reazione, avevano scelto accuratamente il momento, cioè quando sapevano che una pattuglia dei carabinieri avrebbe sostato davanti al loro condominio per controlli durante il periodo del Covid. E quindi, a fronte delle urla e dei ceffoni, avevano chiesto aiuto, scatenando la reazione a catena che li ha portati a liberarsi della violenza.
Ci siamo alzati tutti in piedi, in un grande, commosso silenzio. Poi gli applausi e gli abbracci non finivano più. Potremo dare loro un 10 in esposizione, in logica argomentativa e non è detto che non lo faremo. Perché ci eravamo già detti che dobbiamo cambiare il modo di valutare: voti che raccontino persone che crescono. Ma non eravamo preparati a una commozione così. Non eravamo preparati al seme che fiorisce all’improvviso. Davanti ai nostri occhi solo una grande grazia. E domande, tante. Domande a cui, nella dinamica riflessiva che è di casa in una scuola seria, gli adulti, aiutati dai loro ragazzi che hanno deciso di interpellare, proverranno a dare risposta. E abbracci.
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