Il disagio tra i ragazzi a scuola e fuori non può essere affrontato senza mettere a tema anche la fragilità degli adulti. Spunti di riflessione

L’aumento del disagio e del malessere nei ragazzi è reale e ormai sotto gli occhi di tutti. Ma emerge altrettanto chiaramente come – tra gli aspetti critici che sono alla base del fenomeno – ci sia la fragilità del mondo adulto.

È quanto è stato evidenziato nell’incontro del Meeting 2025 Ansiosi o assetati? Giovani in cerca di un significato, che ha visto la partecipazione come relatori di docenti universitari di diverse discipline: i professori Cesare Maria Cornaggia (psichiatra), Marco Gui (sociologia dei media) e Luigina Mortari (pedagogista e filosofa), che hanno dibattuto il tema secondo le loro differenti visioni e linguaggi specifici.



La prima constatazione su cui riflettere è che i veri fragili siamo noi adulti con le nostre insicurezze, con una “assenza di sguardo e di curiosità su di loro (i ragazzi) per quello che sono, perché il nostro sguardo è troppo spesso quello del controllo”.

Le difficoltà e le ansie dei giovani non vanno quindi lette solo come sintomi da curare, ma come manifestazioni da un lato del bisogno di relazioni autentiche e non superficiali e dall’altro come una “espressione di desiderio”.



Il desiderio è dentro di noi perché nasciamo incompiuti: per farlo emergere occorre coltivare l’anima nella tensione a un “ulteriore”. È il processo autentico dell’educazione, che va intrapreso fin da bambini, con uno sguardo e un atteggiamento da parte dell’adulto che non spinga alla competizione o alla valutazione continua delle performances, come purtroppo vediamo accadere nel nostro contesto sociale.

D’altra parte, il disagio dei ragazzi che osserviamo è un fenomeno sociale complesso, che coinvolge gli adulti e di cui occorre chiedersi le cause e i possibili punti di ripartenza. Un ruolo può averlo il cambiamento dei modelli familiari e dei conseguenti stili educativi. Ad esempio, il fatto che oggi i figli siano di norma “programmati”, quindi sempre di meno, e arrivino sempre più tardi può avere delle conseguenze anche negative. Come genitori, infatti, ci sentiamo più coinvolti, anche emotivamente, nei successi e fallimenti dei figli, che vengono caricati di aspettative a volte eccessive. In fondo facciamo fatica a vederli “altro da noi”.



Ma non possiamo ignorare altri aspetti che disegnano uno scenario nuovo: l’impatto degli strumenti digitali sulla crescita dei ragazzi, come descritto da Haidt ne La generazione ansiosa. È tempo di uscire dal “benaltrismo” (“i problemi sono ben altri che l’uso precoce del telefonino…!”) e guardare con disincanto e oggettività che cosa alcuni strumenti e app digitali provocano nei ragazzi.

Non vi sono dati definitivi e il dibattito è aperto, soprattutto per distinguere quella che è una semplice correlazione da inferenze causali vere e proprie. Ma varie relazioni causa-effetto sembrano dimostrate, ad es. per certe app, in alcune fasce di età giovanile, sugli esiti negativi nelle performances scolastiche.

In questo dibattito va anche considerato il fatto che le app sono sviluppate dalle grandi imprese tecnologiche per scopi commerciali e programmate per ottenere certi risultati in termini di comportamenti (tempo passato al telefonino, induzione di bisogni e consumi ecc.) con una ben precisa idea di persona, del suo sviluppo e dei suoi fini. Il che comporta conseguenze importanti sulla crescita e l’evoluzione dei ragazzi.

Studentesse all’ingresso della scuola con il telefonino (Ansa)

Pensiamo all’esposizione alla pornografia in determinate fasce di età: che impatto ha questo sulla concezione di sessualità e di legame affettivo nei ragazzi? Che cosa induce non solo psicologicamente, ma anche da un punto di vista neurobiologico in soggetti in fase di sviluppo?

E qui si torna al punto: il ruolo dell’adulto. Sarebbe semplicistico e dannoso affidarsi unicamente provvedimenti proibizionistici, ma sarebbe altrettanto superficiale limitare il problema all’aspetto di relazione con l’adulto.

Nelle dinamiche educative l’aspetto relazionale e quello regolatorio sono sempre inscindibili. Proibire a un dodicenne di fumare o bere alcol o giocare d’azzardo non esaurisce il compito educativo dell’adulto, né può tranquillizzarne la coscienza. Il genitore oggi dovrebbe, all’interno di un contesto educativo e relazionale più ampio, farsi domande su che cosa è bene regolare, e quando e come.

Questo non è un atteggiamento alternativo rispetto alla necessità di ascoltare, comprendere ed essere curiosi dei vissuti e dei comportamenti dei ragazzi. L’adulto, infatti, ha anche il dovere di garantire un contesto per l’educazione del ragazzo, perché trovi risposta alle sue domande e alle sue esigenze di crescita ed è discutibile che il contesto venga disegnato dalle grandi imprese tecnologiche attraverso i social.

Si evidenzia qui un ulteriore aspetto, su cui concordano relatori provenienti da ambiti molto differenti. L’adulto non va colpevolizzato, ma aiutato a esserci, e la famiglia non può essere lasciata sola in questo antico compito di accompagnare i ragazzi nella crescita, reso nuovo e complesso dagli scenari che si devono oggi affrontare. Mentre le famiglie spesso sono isolate e purtroppo restano sole, trascurate.

In questo senso è significativa (e poco conosciuta) l’esperienza dei Patti digitali. È una iniziativa che ha preso piede in diverse città, promossa da associazioni, famiglie e docenti volta a dibattere e costruire norme sociali comuni sulle decisioni concrete da prendere in ambito educativo per quanto riguarda l’introduzione dei ragazzi al mondo digitale. Le famiglie si trovano in difficoltà, ad esempio, a stabilire su quale sia l’età più opportuna per fornire il cellulare ai figli: ci sono opinioni le più diverse ed è difficile orientarsi.

Nell’iniziativa dei Patti digitali si promuove un confronto in tavoli “multiattore” tra pensieri diversi, cercando di raggiungere norme condivise e di sostenersi nel promuoverle, applicarle e coinvolgere l’istituzione scolastica. E questo è un esempio di una delle affermazioni forti emerse: “il bene è nei legami”. Ecco un iniziale punto di ripresa e di lavoro per tanti genitori e insegnanti che si accorgono di avere difficoltà coi ragazzi, ma vogliono loro bene e desiderano essere concretamente presenti nel comprenderli e accompagnarli.

Come si vede, l’incontro ha aperto domande più che dare risposte. Come ha detto padre Benanti, il Meeting è un luogo dove ci si può porre domande senza avere la fretta di trarre conclusioni, prendendosi cioè il tempo per riflettere criticamente su opinioni e punti di vista differenti. La speranza è che ora sia la comunità a interrogarsi in merito, a condividere risposte e a proporre esperienze.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI