Ormai i bambini di tipo nuovo cominciano a dare molto fastidio. Tacitamente la società reale comincia ad espellerli. I commentatori “sapienti” scoprono che bisogna insegnare le regole e che sta ai genitori il primo compito.
Il Giorno del 10 gennaio 2020 dedica tre pagine al rigetto crescente del bambino turbolento e incontenibile che ormai caratterizza moltissime realtà. Leggiamo: “Boom di locali vietati ai bambini – Hotel e ristoranti: basta bimbi – 52 strutture in Italia prevedono presenze solo adulte. Il primo 11 anni fa – La pizzeria vietata ai monelli – La svolta nei cieli. In volo solo adulti” eccetera.
Le situazioni senza bambini, le No Kids Zone stanno dilagando. Non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente a partire dall’America. E i nostri commentatori cosa dicono? Colpa e responsabilità dei genitori! Lode ai genitori di una volta! Introdurre l’abitudine alle regole!
Tutto apparentemente semplice e giusto, ma… Nessuno analizza più il ruolo avuto dalla scuola e dalla cultura di vertice, dai ministeri dell’Istruzione alla tv, agli psicologi stessi nel “riformare” i genitori e gli insegnanti che, spesso increduli, ascoltavano e ricevevano direttive anti-autoritarie, mentre veniva smantellato il codice disciplinare tradizionale.
Negli anni Novanta fu il ministro Berlinguer a smantellare il regio decreto che definiva le misure disciplinari attivate nel 1923 e valide in tutta Italia. Era un codice molto flessibile e che non prevedeva misure “muscolari” come bacchettate o fatiche fisiche in uso ancora nella Gran Bretagna di vent’anni fa. Era prevista solo una serie crescente di provvedimenti tutti molto civili e chiari, passando dal richiamo orale a quello scritto (la nota alla famiglia), poi l’allontanamento dalla singola lezione, poi l’allontanamento dalla scuola (la sospensione) da uno a tre giorni di pertinenza del preside, poi l’allontanamento fino a 15 giorni di pertinenza della giunta scolastica, poi la sospensione fino al termine delle lezioni, infine l’espulsione da tutte le scuole.
Non c’era nessun bisogno di cambiarlo e la gestione concreta era adattabile e adattata anche alle differenze tra le varie aree del paese e tra le diverse scuole e al mutevole clima culturale della società. Ma l’astro nascente del “vietato vietare”, unito all’uso politico di parte comunista della cultura ultra-liberista, ebbero il sopravvento e vollero una piena “rivoluzione culturale” sotto lo sguardo benevolo (e a volte la spinta) del cattolicesimo di tipo nuovo.
Così i regolamenti disciplinari furono affidati alle singole scuole, ma sotto il diktat, giornalistico, culturale, sociale e ministeriale, dell’approccio liberista, comprensivo, perdonista, gioioso, accogliente.
Allontanare dalla vita di classe divenne un reato anche per soli 10 minuti. Sebbene questo provvedimento sia quasi ovvio quando la gestione ordinata della classe lo richieda, ormai è di fatto proibito e quindi gli insegnanti si sono rassegnati a gestire classi dove il caos è costante. Da situazione particolare questa realtà si è generalizzata. E adesso tutti la paventano e la scontano.
Ma come mai gli adulti accettarono e spesso crearono le condizioni del “vietato vietare”? Perché loro stessi per primi volevano e credevano in un mondo “libero”, senza gerarchie, senza catene, senza gradazioni del potere decisionale, senza procedure e sottomissioni. L’utopia dell’assemblearismo permanente e della totale liberazione prevalse e ad essa giungevano, soprattutto nella pubblica amministrazione e nella scuola, grandi maggioranze con argomentazioni e percorsi personali molto diversi ma convergenti. Sostenuta dai vertici scolastici e dalla cultura catto-comunista, l’utopia, sempre più decrepita, domina da 40 anni nella scuola di Stato e di essa il sindacato fu ed è il massimo fruitore.
Il risultato disastroso è ormai nella vita quotidiana di tutte le classi e purtroppo di tutto il paese. Il bambino turbolento, irrefrenabile e alla fine fastidioso e insopportabile non è il prodotto di strani e incomprensibili genitori, bensì l’ultimo e perfino tardivo frutto del vicolo cieco in cui la cultura irreale dominante da 40 anni ha portato la nostra società. La quale potrà riprendersi, se ci riuscirà, solo con un profondo auto-esame.
La via d’uscita non è un rigorismo improvviso e opposto. Nel caso della scuola l’allontanamento dall’aula del disturbatore deve essere ripristinato, ma l’alunno allontanato deve trovare fuori dall’aula una situazione capace di gestirlo. Potrebbe essere un insegnante dedicato, capace di comunicare e comprendere le situazioni e di calmare lo stato ansioso, spesso patologico, che caratterizza ormai la disattenzione e i comportamenti oppositivi.
La gestione esterna temporanea e benevola, ma con una chiarezza assoluta circa la necessità di una classe composta e attenta, sarebbe di ottimo impatto sia sullo studente allontanato, sia sui compagni e anche sugli insegnanti riposizionati nel ruolo perenne di guida autorevole della classe.