SCUOLA/ “La riapertura del 7 gennaio barattata con biciclette e monopattini”

- Vincenzo Rizzo

Non ci sono le condizioni di sicurezza necessarie per riaprire il 7 gennaio, scrive un docente. Perché non aspettare al fine del quadrimestre?

scuola_studenti_giovani_1_lapresse_2018 Giovani davanti a scuola (LaPresse)

Caro direttore,
la riapertura delle scuole prevista il 7 gennaio pone delle questioni che necessitano di un confronto serio, leale e a tutto campo. Innanzitutto è doverosa una domanda di partenza: è una buona idea riaprire le scuole quando la fine del primo quadrimestre è ormai vicina?

Prendere tempo per riorganizzarsi in modo più efficace, a mio avviso, può essere una scelta decisamente più valida. Ormai da giorni si parla, infatti, di una variante inglese del virus, particolarmente contagiosa e pericolosa. Le misure ad oggi intraprese possono effettivamente costituire un efficace mezzo di contrasto rispetto a una situazione inedita e potenzialmente più grave? Mi sembra lecito avviare, perciò, un dibattito costruttivo, comunicando a tutti gli operatori della scuola la validità effettiva delle azioni volte alla riapertura.

Ritengo, a tal proposito, che al personale scolastico più anziano d’Europa debbano essere date in dotazione, in tempi stretti, mascherine FFP2 e non mascherine chirurgiche. Tutti sanno che le prime sono più efficaci e proteggono meglio. È vero che i costi sono più alti, ma non si capisce, allora, perché siano stati elargiti ingenti bonus per biciclette, monopattini, ecc. (220 milioni) anziché tutelare meglio la salute degli operatori scolastici.

E d’altro canto le recenti affermazioni del noto microbiologo Andrea Crisanti, docente all’Università di Padova, destano preoccupazione: “Ancora oggi non sappiamo quanto le scuole contribuiscano alla trasmissione e questo penso sia inaccettabile. I dati non sono stati resi pubblici, non sono stati analizzati dalla comunità scientifica”, e ancora: “Abbiamo il dogma che dentro la scuola non ci sia trasmissione ma non c’è nessuna prova a riguardo. Forse la cosa giusta da fare sarebbe aprire un distretto scolastico in una zona gialla, arancione e rossa e vedere cosa succede”.

Tali dichiarazioni dovrebbero essere prese seriamente in considerazione o confutate con dati alla mano, per rassicurare tutta la comunità scolastica. Vengono, invece, totalmente ignorate e disattese, lasciando l’opinione pubblica sconcertata e confusa. E d’altro canto il prof. Roberto Battiston, fisico sperimentale, in un’intervista al Corriere della Sera ha prospettato il serio rischio di una terza ondata, vista la situazione attuale. A una specifica domanda sulla ripartenza della scuola a settembre ha risposto: “Si poteva fare di più. Pensiamo all’uso facoltativo delle mascherine nelle scuole. Non si è pensato a metterle obbligatorie e da quando hanno riaperto l’Rt ha cominciato a salire e il 23 ottobre era schizzato a 1,75. Ma la mascherina non è l’unica cosa importante, pensiamo agli ingressi differenziati, all’impiego del medico scolastico”.

A quanto pare, la riapertura della scuola sembra, dunque, frutto di azioni politiche indiscutibili, non soggette a dibattito o a progetto condiviso o a critica presa in considerazione. Tutto ciò genera un clima di incertezza che non aiuta. In un momento così grave la dogmatica impositiva dovrebbe cedere il passo all’ascolto dell’altro, all’elaborazione di azioni condivise, alla rassicurazione del personale attraverso tutti i mezzi e le possibilità attuabili: dispositivi di protezione FFP2 per tutti, aiuto e sostegno psicologico agli operatori logorati dalla situazione, coinvolgimento attivo del medico scolastico, ascolto dei drammi esistenziali in atto, migliore tutela del personale con patologie, azioni specifiche a favore dei disabili, ecc.

Il macroproblema che ci sta affliggendo richiede l’uso della ragione secondo tutti i fattori, in primis quello del bene comune e della tutela dei deboli, non la sua riduzione a urgenza di autoaffermazione politica.





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