Il Dpcm del 3 dicembre è stato uno di quelli più attesi dalla gente, non solo perché avrebbe dovuto contenere norme e criteri indispensabili per regolare il periodo natalizio, ma soprattutto perché avrebbe dovuto chiarire ciò che tante famiglie e tanti studenti, specialmente quelli degli istituti superiori, stavano aspettando da giorni: data e modalità del loro rientro in classe.
E la data fatidica venne fissata al 7 gennaio, con una puntualizzazione di questo tenore: “Le istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado adottano forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica ai sensi degli articoli 4 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, in modo che il 100 per cento delle attività siano svolte tramite il ricorso alla didattica digitale integrata e che, a decorrere dal 7 gennaio 2021, al 75 per cento della popolazione studentesca delle predette istituzioni sia garantita l’attività didattica in presenza”.
Il Governo in quell’occasione aveva predisposto un piano di ritorno in classe in un certo senso molto ambiguo, come è solito fare. La scuola riprendeva come sempre il 7 gennaio, per tutti, al 100% con la famosa didattica a distanza, mentre al 75% di loro si assicurava una didattica in presenza, senza spiegare né per chi, né come. Secondo il Dpcm la ripartenza della scuola sarebbe avvenuta piena sicurezza, dal momento che “Le scuole sono in grado di riaprire sin da subito, siamo in grado di farlo”. Il rientro a scuola, fissato per il 7 gennaio, è stato poi confermato dalla premiata coppia Azzolina-De Micheli, con la più ampia rassicurazione e benedizione di Conte.
Ma l’idea che si tratti dell’ennesimo spot pubblicitario filo-governativo serpeggia tra tutti gli addetti ai lavori: presidi, sindaci, prefetti, sindacati, compresa la Protezione civile che solleva non pochi dubbi. Non a caso Miozzo, pochi giorni prima di Natale ha affermato che “tornare il 15 a scuola non sarebbe un problema”. La comunicazione del Governo contiene comunque tutti gli elementi che permetteranno a Conte di dire in diretta tv che tutto è come previsto: la didattica a distanza è salva per tutti… e il governo non si è fatto cogliere impreparato, anche se nei fatti non è cambiato nulla. E per l’Azzolina sarà giocoforza affermare che lei aveva fatto tutto, predisposto tutto, ma se poi le cose sono andate diversamente non è certo colpa sua.
In realtà l’operazione-scuola è stata tra le peggiori che questo governo ha fatto in questo lungo anno, compromettendo il percorso scolastico di milioni di studenti italiani, che difficilmente potranno recuperare il gap con i colleghi europei i quali invece a scuola sono andati e regolarmente.
Il perdurante stato di incertezza
Il 23 dicembre, classicamente ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie, c’erano ancora tante, troppe incognite per il ritorno a scuola. E questo ha creato un elevato stato d’ansia nelle famiglie. Per tutti gli studenti, ma in particolare per i ragazzi delle superiori il ritorno a scuola significa contatti diretti con compagni e professori; interscambio di idee e di emozioni e un deciso spostamento dei tempi e dei modi del dibattito in classe sulle massime questioni esistenziali, come è tipico degli anni dell’adolescenza. Il fatto è che i dati attuali della pandemia sono tutt’altro che rassicuranti, anche per l’ingresso sulla scena della variante inglese, che seppur meno letale, sembra avere un tasso di contagiosità così elevato da mettere in ginocchio un intero paese.
Ma poi si legge che c’è anche la variante sudafricana e che in verità le varianti sono almeno 13!, alcune delle quali già in circolazione da marzo-aprile e tali da lasciar intuire perché alcuni pazienti si ammalavano più gravemente di altri. E la domanda diventa: ma il governo sapeva o non sapeva? Perché ha atteso l’annuncio di Boris Johnson per riconoscere il primo paziente di Loreto e poi via via tanti altri?
Fino a che punto un governo che si caratterizza per credere in una democrazia diretta e che giorno per giorno si intrattiene in dialogo con i cittadini, non ha parlato prima di queste varianti, della loro veloce trasmissione da soggetto a soggetto, anche ai più giovani, e della loro minore aggressività. In altri termini nel perdurante stato di incertezza delle cose, il governo allo stato attuale centellina la sua comunicazione a seconda delle decisioni che intende prendere e che hanno a che vedere più con le logiche economico-finanziarie che non con la vera natura dei fatti.
D’altra parte le regole imposte dal governo in questo tempo di Natale sono così farraginose, con un andamento a singhiozzo tra chiusure e aperture così esasperato, che nel caos che si sta creando è ampiamente possibile avere effetti boomerang sull’impennata dei contagi. È quindi tutt’altro che certo che le scuole il 7 gennaio potranno tornare ad offrire una didattica in presenza al 75%, come previsto a inizio dicembre. A tal punto che l’annuncio sulla presenza fisica in classe si è già ridotto al 50%.
La curva epidemiologica crea preoccupazioni anche per il nodo trasporti che, ad oggi, sembra tutt’altro che sciolto. Ovviamente il governo, per venire incontro all’opinione pubblica, afferma di essere pronto a mettere sul tavolo nuovi fondi per i servizi del trasporto pubblico aggiuntivo nelle fasce orarie più critiche per gli studenti. Ma ci vorrà tempo per rendere operativa una così buona intenzione e con la ripresa della scuola la capienza dei mezzi pubblici sarebbe inevitabilmente un problema tutt’altro che risolto.
Quali ipotesi per il futuro prossimo
Così, nonostante la data del 7 gennaio resti ancora in piedi, il rientro a scuola in presenza potrebbe essere parziale e graduale, e potrebbe slittare perfino di qualche settimana. Attualmente l’ipotesi più probabile di un ritorno alla didattica in presenza al 50% si sta spostando oltre il 7 gennaio; sembra che possa essere rinviata ben più in là delle prime settimane di gennaio, quando si avrà un quadro più preciso sui contagi e sugli effetti del periodo natalizio.
Altro nodo cruciale, sempre per il ritorno a scuola è l’uso dei tamponi, indispensabile per bloccare i contagi e mettere in salvo ampie fasce della popolazione, a cominciare da quella scolastica; ma senza escludere le famiglie che spesso pagano un prezzo altissimo in termini di quarantena, per un semplice tampone positivo di un solo compagno di classe. Le Regioni si stanno impegnando a istituire un percorso preferenziale per i tamponi degli studenti, evitando che le scuole rimangano chiuse troppo a lungo per il tracciamento degli studenti. E d’altra parte c’è sempre l’impegno a riorganizzare gli orari delle scuole, ma anche di altre attività e dei negozi, per evitare affollamenti sui mezzi di trasporto negli orari di punta. Perché ad esempio se si immagina un ingresso dei ragazzi a scuola scaglionato tra le 8.30 e le 10, occorrerà tenere conto che in alcune città, come Milano ad esempio, i negozi apriranno alle 10.
Ma il quesito chiave oggi è quello di capire come si svilupperà l’attività didattica, in che misura sarà didattica in presenza e in che misura si tratterà di didattica a distanza fin dal 7 gennaio. Il confronto riguarda soprattutto la percentuale di didattica a distanza rispetto alla didattica in presenza. Nonostante le roboanti affermazioni dell’Azzolina e di Conte, Regioni, province e comuni puntano a ridurre ulteriormente il rientro in presenza, attualmente previsto al 50% dal 7 gennaio. Le Regioni chiedono una deroga da stabilire a livello provinciale, in caso di necessità. Nell’ultimo testo licenziato dal Cdm, la sospensione dell’attività didattica in presenza è diventata eventualità solo “residuale”. Ma Conte parla e raccomanda “un’apertura differenziata scuola per scuola, paese per paese”.
E la domanda aperta per tutte le famiglie resta sempre la stessa: quale sarà lo scenario formativo su cui si muoverà mio figlio, casa o scuola, e come si affronteranno anche i disagi della didattica a distanza, dal momento che attualmente sembra diventata la chiave di volta per risolvere ogni dubbio e incertezza? Conte continua ad annunciare zona rossa per tutto il Paese, se gli italiani non si comporteranno bene, evitando tutti quei contatti che possono convertirsi in contagi e disagi correlati. Nell’ultimo decreto c’erano, ci sono ancora oggi!, misure complicatissime, spesso irrazionali, difficilmente osservabili, che comunque hanno comportato un aumento dei contagi e dei decessi. Creando un malcontento diffuso che diventa sempre più difficile fronteggiare.
Il 7 gennaio è alle porte e, come dice un vecchio ritornello, l’Epifania tutte le feste si porta via. Allora tutti potremo vedere fino a che punto il governo sta bluffando per preparare la nuova zona rossa per tutto il Paese, ovviamente salvaguardando sempre se stesso, le sue parole, gli impegni proposti o imposti ad un Paese sempre più visibilmente in sofferenza. Un Paese in cui le famiglie continuano a pagare il prezzo più alto, in termini di disagio e di incertezza, mentre i docenti tacciono, altrimenti potrebbe succedere come a Vo, dove qualcuno, docente o dirigente scolastico, è stato sottoposto a provvedimento disciplinare per aver osato criticare l’Azzolina.