Nel suo ultimo libro, molto bello e pieno di dati significativi che svelano la condizione “signorile di massa” degli italiani, Ricolfi è incorso in una grande svista.
Ha sottolineato che la famiglia italiana è ricca, può permettersi di sostenere tanti giovani che non studiano più e non lavorano, che solo la metà degli adulti lavora e tuttavia la stragrande maggioranza ha consumi altissimi, tra i più alti al mondo, impensabili qualche decennio fa.
Ha anche esaminato il crollo, iniziato a suo parere dal 1962 con la media unica, dei livelli di preparazione degli alunni italiani. Livelli che secondo lui sono dimezzati. Ma proprio la facilità del successo scolastico in questo diplomificio a buon mercato genera tantissimi super-titolati con aspettative di lavoro irrealizzabili.
Ma nel confronto tra la società italiana e l’occidente Ricolfi ha stranamente ignorato del tutto l’esame della condizione giovanile tra i 6 e i 18 anni.
Ebbene, nel paese che sembra adorare i minorenni la condizione scolastica giovanile è la più gravosa d’Europa e l’unica che ha visto un aggravamento rispetto agli anni del primo dopoguerra.
Se ci si libera di narrazioni artificiose che presentano la scuola elementare tradizionale come permeata di arbitri e autoritarismi, la bacchetta, i ceci, il castigo dietro la lavagna, si vede che in realtà i ricordi della stragrande maggioranza degli italiani circa la vecchia scuola elementare sono positivi. Oggi invece i racconti dei genitori sono spesso disperanti.
Fino al 1990 la nostra scuola elementare prevedeva 24 ore di lezione settimanale con il sabato o il giovedì libero. Modello analogo a quello ancora vigente in Francia dove viene difeso strenuamente dai genitori contro ogni tentativo ministeriale di allungamento.
La scuola media unica istituita nel ’62 prevedeva 25 ore settimanali di lezione e tre ore opzionali di latino in seguito abolite. Ugualmente i licei vedevano 24 ore settimanali.
Ebbene, a partire dagli anni 70, mentre i lavoratori passavano dalle 44 alle 40 ore settimanali e poi alle 36 nel pubblico impiego ed anche in vari settori privati come le banche, nella scuola si è manifestata una fortissima tendenza all’aumento delle ore di lezione che non ha eguali in Europa e che ci ha portato al record assoluto con il 25% in più rispetto alla media europea.
Nel ’79 le ore di lezione nella scuola media vengono portate a 30 e nel ’90 parte il tentativo, ancora in atto, di generalizzare il tempo pieno nella scuola elementare che prevede 30 ore di lezione e 10 di intervallo mensa.
La carica del tempopienismo non ha risparmiato le scuole superiori, licei ed istituti tecnici, dove furono lanciati innumerevoli progetti di tempo pieno con orari settimanali da 30 a 36 ore intaccando la tradizione delle 24 ore settimanali dei licei. Gli istituti tecnici e professionali svettavano con le ore teoriche pari a 36 settimanali ma che in realtà erano artificiosamente e furbescamentre ridotte a 30. Come? Riducendo, nel silenzio di tutti i tempopienisti, non il numero di ore ma la durata da 60 minuti a 50. Il trucchetto miserevole si è svelato quando la ministra Gelmini portò, nel 2010, a 32 anziché 36 le ore settimanali negli Itis e negli Ips ma vietando le ore di 50 minuti. Il che produsse un aumento reale del tempo scuola di due ore settimanali, dolorosissimo per gli studenti.
L’ordinamento attuale della scuola è quello stabilito nel 2010 dalla riforma Gelmini e giunto a regime nel 2014.
La turbolenza del tempopienismo sembra adesso essersi placata almeno in parte e nel silenzio imbarazzato di tutti avanza la sperimentazione degli istituti superiori di 4 anni anziché 5. Ciò avviene per allinearci alla situazione europea dove le superiori durano 4 anni anziché 5 come da noi. Ma l’adeguamento lentissimo si verifica con imbarazzo, a malincuore e in silenzio. In teoria si finge di mantenere il numero totale delle ore di 5 anni spalmate su 4 anni portando a 40 le ore settimanali. Dove però continua la finzione sempre sottaciuta e cioè la riduzione delle ore da 60 a 45 minuti indispensabile per rendere sopportabile la settimana scolastica di 40 ore teoriche.
E così la società signorile di massa sfoga la sua inquietudine, e la sotterranea tormentosa idea che un rigore in fondo ci vuole; pur nel trionfo del liberismo da qualche parte il rigore ci vuole. E su chi è caduto il rigore in Italia? Sui giovani, condannati ad un curricolo impossibile e frustrante, per giunta con una massa di professori dequalificati e instabili.
Per curiosità, dopo il confronto con i modelli europei che varie volte ho citato, riporto qualche notizia sulla scuola di base cinese nella città di Shenzhen, con 13 milioni di abitanti, posta alle spalle di Hong Kong.
Obbligo scolastico dai 6 ai 15 anni. Bocciatura inesistente salvo ultimo anno. Scuola superiore di 3 anni e poi l’esame chiave che determina l’accesso o meno alle università.
Orario settimanale pari a 30 ore di lezione ma di 40 minuti. 4 ore al mattino (8,40-11.50) e due al pomeriggio (14,30-16,05) con 10 minuti di pausa tra un’ora e l’altra. Pausa pranzo maggiore di due ore e mezza con possibilità di ritorno a casa. Al mattino ingresso flessibile di 20 minuti poi mezz’ora di attività motorie collettive di tutte le classi. Alle 16 termine delle lezioni. Uscita flessibile. Dalle 16.30 alle17.30 attività post-scolastiche a scelta tra: calcio, atletica, ping pong, pallacanestro, chitarra e canto. Ogni giorno si indossa la divisa cittadina salvo il mercoledì dove l’abbigliamento è libero.
Un P.S. finale: non lamentiamoci poi dei risultati Ocse-Pisa; non stupiamoci “se solo il 5% dei quindicenni sa comprendere un testo” e così via. Niente di sorprendente; con il nostro folle ricambio dei docenti e 150mila supplenti, ogni altro paese sarebbe molto al di sotto nei risultati.