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Home » Educazione » SCUOLA/ Nicholas e Simón, non vedere il mondo e “possederlo” più degli altri

  • Educazione

SCUOLA/ Nicholas e Simón, non vedere il mondo e “possederlo” più degli altri

Alfio Pennisi
Pubblicato 25 Ottobre 2019
diamanti

(LaPresse)

Oggi il rischio per i giovani non è tanto la perdita della capacità di pensare, ma la perdita del rapporto col mondo, con le cose, con gli uomini

Dire che a scuola bisognerebbe fare come allo stadio è frase che, presa alla lettera, potrebbe suscitare, e non senza ragione, qualche perplessità. Anche perché – in certe aule, in certe scuole – scene da stadio ci sono già, con tanto di hooligans scatenati, e lo spettacolo non è dei più entusiasmanti. Ma qui ci si riferisce ad altro.


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Girano sul web, ormai da tempo, due video, ambientati proprio negli stadi.

Ci mostrano due ragazzini che seguono la partita insieme a degli adulti; fin qui, nulla di eccezionale, dunque, se non il fatto che questi due bambini sono ciechi, sordi, autistici…

Silvia Grecco è la 56enne mamma di Nicholas, che ha 12 anni ed è super tifoso del Palmeiras, una società sportiva brasiliana di San Paolo, fondata da immigrati italiani nei primi anni del 900. Nel video si vedono madre e figlio allo stadio, entrambi orgogliosamente vestiti con la maglietta verde della squadra. Silvia racconta la partita a Nicholas, che non ci vede ed è anche autistico, accostandoglisi ad un’orecchia. Non è una professionista, lo ammette, e al figlio descrive anche il colore delle scarpe o i look bizzarri dei giocatori, e non tralascia qualche apprezzamento pesante sull’arbitro; Nicholas, così, “vede” la partita. Silvia e Nicholas hanno fatto storia e la Fifa li ha premiati, meno di un mese fa, alla Scala di Milano, con il “Fan Award 2019”.


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A Bogotà, in Colombia, gioca invece l’Independiente Santa Fe. Anche lì, allo stadio, han girato un breve video: si vede un bambino tifoso, lo chiameremo Simón.

Simón non ci vede e non ci sente, e la partita la segue dando le spalle al campo: di fronte a lui, però, c’è César Daza (educatore, interprete, insegnante?) che accompagna le mani del piccolo su una riproduzione del campo in cartoncino. Muovendo velocemente le dita di Simón sul rettangolino verde, César gli comunica i movimenti dei giocatori, i tiri, le parate, le ammonizioni, le espulsioni, il gol, se c’è. E se il gol c’è, come in tutti gli stadi, si balza in piedi, ci si abbraccia, si esulta.


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Per questo, a scuola, bisognerebbe fare come allo stadio, come in questi stadi.

Si dice spesso che, agli alunni, bisogna insegnare a pensare, a ragionare.

È vero, ma solo in parte: bisogna, innanzitutto, insegnare a conoscere. Il pensiero, infatti, “può non fare i conti con la realtà e costituirsi come ideologia. La conoscenza, invece, è esperienza totale dell’oggetto”. A dirlo era uno che qualcosa, di educazione, sapeva: don Luigi Giussani.

I pensieri di Nicholas e Simón, come preziosi tesori, sono chiusi in scrigni ardui ad aprirsi, e chissà se mai li potremo apprezzare fino in fondo. Meno che mai glieli potremo insegnare, forgiare. E così per i pensieri di Leopardi, di Moore, di Stravinskij.

Ma una partita di calcio – o una poesia, una scultura, una sinfonia – ci sono, lì, reali e concrete, che ci aspettano: prima di ogni pensiero, a Nicholas, Simón e a tutti i ragazzini del mondo possiamo indicarle, mostrarle, descriverle, farle conoscere. Radicandosi sulla conoscenza delle cose, anche il pensiero verrà fuori sano.

Il rischio, oggi, per i nostri ragazzi non è tanto la perdita della capacità di pensare, ma la perdita del rapporto col mondo, con le cose, con gli uomini.

Lo aveva ben compreso quel genio sorridente di Chesterton: “La ragione usata senza radici… è un ragionare a vuoto… Se vi mettete a discutere con un pazzo, è estremamente probabile che avrete la peggio, perché la sua mente si muove più velocemente, in quanto non è rallentata dalle cose che fanno da contorno all’assennatezza. Non è ostacolata dal senso dell’umorismo né dalla carità, o dalle mute certezze dell’esperienza”.

Le “mute certezze dell’esperienza”: per un corso di formazione agli insegnanti, Silvia e César io li chiamerei…    


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