Oscar credeva di ricominciare la scuola con i suoi allievi, invece la sua supplenza non è stata riconfermata. Lo aspettano due scuole diverse
Ho salutato Oscar, il mio giovane amico professore, poco prima che finissero le lezioni nel mese di maggio. La sua supplenza annuale stava finendo, ma non era triste. Non so bene per quale motivo, ma nutriva la segreta speranza che il suo incarico presso il prestigioso liceo dove lo avevano nominato, potesse essere confermato.
Oscar, fresco di concorsi vinti e persi, reduce da dottorati in giro per l’Europa, nel suo angolino milanese aveva già pensato di farci il nido. Bottega e casa in 20 minuti a piedi, qualche volta 10 con il tram. A cosa serviva ormai la Panda? E così ha fatto, dopo averla ripulita un po’, rinfrescando soprattutto l’abitacolo da cui l’odore delle sue sigarette, fedeli compagne nei suoi viaggi tra scuole e università, non voleva andarsene mai.
Ai suoi alunni, anche, l’ultimo giorno di scuola, aveva confessato che forse si sarebbero rivisti. Che c’erano buone probabilità. I ragazzi hanno fatto festa doppia. Perché la scuola finiva. E perché sarebbe ricominciata con Oscar.
Uno che sapeva a memoria sant’Agostino e che quando ne parlava sembrava che stesse parlando di un amico. Uno che quando leggeva un brano di un autore dal libro di testo, riusciva a far percepire agli alunni che quella riga lì era stata scritta per loro. Uno, insomma, che aveva fatto fare loro l’esperienza della scuola vera: un maestro che insegna non solo perché sa le cose, ma perché sta ancora imparando con te a mettere queste cose in tasca, a tenersele dentro gli occhi mentre va in giro sui tram di Milano.
Ma non è andata così. Ho rivisto Oscar alla fine di agosto. Mi ha telefonato per chiedermi di aiutarlo a trovare una macchina. “Nel deserto di Milano, con i concessionari quasi tutti ancora chiusi?” Io ancora non capivo: “non hai mica venduto la Panda perché te ne stai a due passi dal tuo liceo?” “Già”, mi ha detto al telefono. “Fino a quando non sono uscite le nomine, pensavo proprio così”.
Io non mi ricordo più quali siano i tempi, le modalità, le procedure con cui ogni anno un professore viene nominato in una scuola. So solo che sono andato da Oscar e abbiamo cominciato a girare per concessionarie. Mi ha fatto vedere i messaggi dei suoi alunni. Non ha potuto non dirglielo. Era stato lui ad alimentare anche le loro speranze. Messaggi di una tristezza non sentimentale:
e chi ci spacca in quattro con Duns Scoto, adesso? E chi glielo va a dire a mia mamma che io adesso non studio più la storia e la filosofia? Magari arriverà qualcuno che ci massacrerà con i questionari scritti che finalmente con lei ci eravamo scordati? Ma che scuola è, questa che ci fa incontrare uno come lei e poi ce lo porta via?

Messaggi che qualcuno al ministero dovrebbe leggere. Ma al ministero, si sa, quello che conta è l’organizzazione. Ma viene da domandarsi che organizzazione è quella che ogni anno fa e disfà, dimenticandosi la vera ragione della sua esistenza. Che sono gli alunni, ai quali non può essere negato un maestro che li introduca alla realtà. A costo di rivedere regole e graduatorie, procedure e punteggi.
Non era la qualità che contava? Non era il merito, per alunni e professori, la nuova stella polare della scuola italiana? Non lo è, dicono in coro gli alunni di Oscar. Se lo fosse, il prof rimarrebbe al suo posto.
Invece: è “settembre, andiamo. È tempo di migrare”. Il verso iniziale di una delle più famose poesie di D’Annunzio mica parla solo dei pastori che scendono dagli stazzi d’Abruzzo e vanno verso il mare.
I poeti sono profeti, e il vate pensava già a Margherita, anche lei approdata in altri lidi dopo la sua scuola professionale. E naturalmente a Oscar. Che adesso con me deve trovare una macchina che lo porti in provincia. E mica in una scuola. Ma in due, in due comuni diversi.
La signorina che ci accoglie alla reception è dolcissima e ha il colore dell’ambra. “Abbiamo appena riaperto”, ci dice. “Vi chiamo subito uno degli addetti alle vendite”.
Lo ha detto in inglese, ma io lo traduco così, che si capisce di più. Abbronzato anche lui, con la scarpa in camoscio e il calzone che arriva alla caviglia, la sua camicia bianca è stirata e profumata come a Oscar capitava soltanto quando stava ancora da sua mamma.
“Nuovo o usato?” Ci chiede. “Usato”, dice Oscar. “Ma sicuro. Perché tra una lezione e l’altra farò più strada di un fattorino di Amazon. Niente Suv, niente cross, niente elettriche, niente ibride”, dice ancora Oscar. Magari rivorrebbe indietro la sua Panda.
Ma se nella scuola italiana contano di più i ministri dei magistri, come ha ricordato Giorgio Chiosso qualche giorno fa su queste pagine parlando di un bel libro di Dionigi, forse alla fine fa bene a comprare qualcosa che possa durare qualche anno di più. Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Fino a quando?
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