Piergiorgio Odifreddi a “L'aria che tira" ha lasciato intendere che esistono persone di minor valore come Charlie Kirk. A scuola si impone una riflessione
Da dove ricominciare l’anno scolastico, in un contesto attraversato da guerra, odio e violenza?
La domanda mi è sorta ascoltando Piergiorgio Odifreddi, ospite della trasmissione L’aria che tira. Commentando l’omicidio dell’attivista statunitense Charlie Kirk, ha pronunciato parole che mi hanno gelato: “Sparare a Martin Luther King e sparare a un rappresentante di Maga sono due cose molto diverse, Martin Luther King predicava la pace e invece Maga e Trump…”.
Una frase che non può lasciare indifferenti. Non soltanto per il paragone in sé, quanto per l’idea di fondo che sembra trasmettere: l’odio giustifica altro odio. Una sorta di “legge del taglione” deformata, spinta fino al punto da considerare l’avversario politico come una persona di minor valore. E, in qualche misura, da far apparire quasi giustificato chi arriva a pensare che la violenza sia una risposta plausibile al pensiero diverso dal proprio.
Ma allora, se davvero è così – se “odio genera odio”, come dice Odifreddi, e se, come ha ammonito il cardinale Parolin, “siamo sull’orlo del baratro, con il rischio di un’escalation senza fine” – che speranza resta? Che senso ha, per me insegnante, entrare in aula, guardare negli occhi i miei alunni e proporre loro di costruire un futuro migliore in un mondo che sembra collassare?
Forse proprio da qui bisogna ripartire. Mostrerò ai miei studenti il video di Odifreddi e ascolteremo quelle parole, perché esse stesse diventino occasione di dialogo. Perché se odio genera odio, allora la questione decisiva è: come interrompere questa catena?
La tradizione cristiana offre una risposta semplice e scandalosa insieme: il perdono.
Perdonare non significa ignorare il male, né giustificarlo. È piuttosto riconoscere l’altro nella sua irriducibile dignità, nonostante i suoi limiti, nonostante le differenze con me. In un dibattito pubblico dove prevale la logica dello scontro, la sfida è cercare ciò che unisce, non ciò che divide; ciò che c’è di bene nell’altro, non ciò che non mi corrisponde.
Ho visto questa possibilità con i miei occhi al Meeting di Rimini, ascoltando testimoni che hanno avuto il coraggio di perdonare chi aveva ucciso i loro cari: come Diane Foley, madre di James W. Foley, il giornalista americano rapito in Siria nel 2012 e ucciso brutalmente dall’Isis, che ha incontrato e perdonato il terrorista che aveva ammazzato suo figlio; oppure nell’incontro Madri per la pace, dove donne palestinesi e israeliane, alle quali avevano ucciso dei figli, hanno raccontato attraverso le loro testimonianze come il perdono, la memoria e la solidarietà possano essere strumenti reali di pace.
Hanno spezzato le catene dell’odio che imprigionavano la loro vita, mostrando che sì, un’altra via è possibile. Non a caso Martin Luther King diceva: “Dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli o periremo insieme come stolti”.
Ecco la questione che dovrebbe interpellarci tutti, credenti e non: vogliamo davvero continuare a morire da stolti, alimentando rancore e divisioni? O non è piuttosto tempo di tornare a dare speranza, di custodire il fragile filo della convivenza, invece di aggiungere pietre sul sepolcro dell’umanità?
Io ricomincerò l’anno scolastico cercando speranza, anche grazie alle terribili parole del prof. Odifreddi.
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