Il mondo delle scuole paritarie è deciso a far valere un diritto costituzionale. La proposta di Formigoni: “Se non si trovano i soldi sciopero del voto”

Ormai sembrava un tema dimenticato. A rimetterlo sul tavolo ci ha pensato l’iniziativa di una serie di associazioni familiari, con un convegno in Regione Lombardia per chiedere che venga riconosciuto il diritto costituzionale delle famiglie di educare i figli come vogliono, anche istituendo delle scuole. Così il tema delle paritarie e della necessità che lo Stato le sostenga è tornato d’attualità.



Ora bisogna spingere perché il governo si occupi della questione. I partiti che sostengono Giorgia Meloni, spiega Roberto Formigoni, ex presidente della Regione Lombardia che durante la sua lunga amministrazione ha ideato il Buono Scuola per le famiglie degli studenti che frequentano le scuole non statali, sono favorevoli alle scuole paritarie, devono stanziare i fondi per sostenerle. Altrimenti si farà lo sciopero del voto.



Si stima una cifra di quasi mezzo miliardo di euro: molto meno della spesa che lo Stato sosterrebbe se gli studenti delle paritarie decidessero in blocco di frequentare le statali.

Perché c’è stato bisogno di un incontro indetto da 24 associazioni per rilanciare il tema della parità scolastica? Come mai non era più al centro del dibattito politico?

Nel documento preparato dalle associazioni stesse in occasione del convegno tenuto in Regione Lombardia si faceva anche autocritica, ammettendo che il tema delle scuole paritarie da qualche anno non è più all’ordine del giorno. “Innanzitutto – dicevano le associazioni – per nostra responsabilità, perché troviamo genitori demotivati, insegnanti e scuole che non puntano più all’eccellenza”.



Quella del convegno è stata una scossa salutare che le associazioni, di cui Roberto Pasolini rappresenta un po’ la guida, hanno voluto dare a se stesse e al mondo politico, dicendo che 25 anni dopo la legge Berlinguer, e 26 anni dopo il Buono Scuola inventato da Regione Lombardia, occorre riprendere l’iniziativa. Resta il fatto che in Italia la libertà di educazione non è ancora pienamente realizzata.

Che tipo di sostegno hanno al momento le scuole paritarie?

C’è il Buono Scuola della Lombardia, che, secondo i dati forniti dall’assessore Tironi, è finanziato con 50 milioni di euro. Poi c’è il Veneto, che spende 8 milioni di euro. E la Sicilia. Per il resto le scuole sono abbandonate a sé stesse: quello che dà il governo nazionale è veramente poca cosa. L’incontro ha voluto segnare una ripartenza decisa per far valere un diritto costituzionalmente riconosciuto.

Perché è necessario richiamarsi alla Costituzione?

Al pari di quelle di altri Paesi, la nostra Costituzione riconosce che il diritto-dovere di educare spetta soltanto ai genitori.

Lo Stato può e deve intervenire se chiedono aiuto. I genitori hanno il diritto-dovere di educare i loro figli nel rispetto dei valori nei quali credono; le scuole paritarie nascono da questo, quando genitori o cooperative di insegnanti dicono: “I valori che vengono indicati nella scuola di Stato non ci convincono o non ci convincono del tutto, facciamo noi una scuola, finanziandola con la nostra iniziativa”.

Per realizzare la parità scolastica, lo Stato deve aiutare economicamente questa iniziativa.

Però nella Costituzione si dice che tutto questo deve avvenire senza oneri per lo Stato. Vuol dire che chi prende l’iniziativa non si deve aspettare niente?

Nel convegno si è parlato del dibattito nell’Assemblea Costituente e dell’ormai famoso emendamento presentato da Epicarmo Corbino. Lui stesso spiegò, come è riportato negli atti della Costituente, che non significava affatto che lo Stato non sarebbe mai potuto intervenire fornendo un aiuto economico alle scuole, ma che questa azione non era dovuta.

Si doveva valutare caso per caso, verificando, per esempio, se la scuola era un diplomificio. Ma se lo Stato valutava la serietà dell’iniziativa, l’impegno degli insegnanti, la volontà positiva dei genitori, poteva benissimo dare un sostegno.

Al convegno è intervenuto il ministro dell’Istruzione Valditara, che ha dato ragione ai sostenitori della parità scolastica. Ora l’iniziativa tocca a lui? Al governo? Al Parlamento?

C’è un’iniziativa da riprendere. Nel mio intervento ho sottolineato che dobbiamo riprenderla noi: la politica deve muoversi quando c’è una forte spinta dal basso, dalla base. Come il convegno è stato organizzato dalla base delle associazioni dei genitori, così anche questa rivendicazione nei confronti della politica deve partire dalle associazioni. Valditara sta svolgendo il suo compito in maniera positiva, ma da solo non basta: quando si trova a proporre aiuti economici più sostanziosi per le paritarie, trova l’opposizione del ministro dell’Economia. Sia chiaro, non voglio farne una colpa di Giorgetti, a lui tocca far quadrare i conti.

Quindi è un problema di bilancio?

Tutti i partiti che sostengono l’attuale maggioranza sono favorevoli alle scuole paritarie, però si appellano al fatto che in cassa non ci sono soldi. È vero che ci sono difficoltà di bilancio, l’Italia ha un debito pubblico molto elevato e la situazione economica non è favorevole, però a questo io oppongo il valore primario della libertà d’educazione.

I soldi sono pochi, bisogna decidere come spenderli, e vanno spesi per favorire il capitale umano: le scuole paritarie di qualità sfornano allievi capaci di creare valori positivi per l’intera società, sono un valore aggiunto. Spendere più soldi per la scuola non è buttarli, è un investimento al pari degli aiuti per le piccole e le medie aziende, per l’export, ha la stessa dignità di altri capitoli fondamentali. Anzi, secondo me ha una dignità maggiore.

Come si esce allora dall’impasse provocato dalla mancanza di risorse?

Quando in Regione Lombardia decidemmo di istituire il Buono Scuola, il primo anno con 50 milioni di euro, poi con 70, i soldi li abbiamo dovuti limare da una serie di altri capitoli. È una scelta politica. La scelta di finanziare le scuole paritarie deve essere prioritaria.

La via per realizzare la parità scolastica può essere quella delle Regioni?

Fino adesso si sono mosse soltanto loro: la Lombardia con un investimento pesante, il Veneto con uno molto più leggero, la Sicilia con un investimento medio. Le altre no. Il modello che abbiamo costruito 26 anni fa con il Buono Scuola, poi diventato Dote Scuola, è apprezzato da tutte le famiglie, perché i fondi, appunto, vengono dati non alle scuole, ma alle famiglie.

È un punto fondamentale. Sono le famiglie che, ricevendo l’assegno del Buono Scuola, decidono in quale scuola spenderlo. La formula di Regione Lombardia ha trovato un consenso vastissimo nell’ultimo convegno. Quindi si è deciso di partire da lì, preparando altri convegni per poi fare una proposta definitiva al governo.

Come ci si deve muovere ora per far tornare il tema della parità scolastica al centro del dibattito?

Tutti i partiti che appoggiano il governo Meloni sono, dal punto di vista teorico, a favore della libertà scolastica. Bisogna dire chiaramente all’esecutivo che le scuole paritarie hanno bisogno di fondi. Ho fatto anche un calcolo economico: applicando a tutte le regioni il modello Lombardia, occorre qualcosa di meno di mezzo miliardo di euro.

Una cifra importante, però, ripeto, è un investimento sul futuro. Occorre fare un patto prima della fine della legislatura: se il governo stanzia questo mezzo miliardo, otterrà i voti, altrimenti verrà punito con lo sciopero del voto. Non si vota nessuno. È un’arma democratica utilizzata fuori d’Italia in tante occasioni e che ha avuto successo.

Non è, comunque, una proposta troppo costosa per essere presa in considerazione?

Basta pensare a cosa succederebbe se i genitori delle paritarie le abbandonassero da un giorno all’altro e i loro figli si presentassero alle scuole statali: ci sarebbero centinaia di migliaia di studenti che avrebbero il diritto di avere gli edifici, gli insegnanti, le aule necessarie e lo Stato spenderebbe 8-9 volte di più rispetto al riconoscimento del Buono Scuola.

Il costo di uno studente per lo Stato è di circa 7.000 euro, mentre il Buono Scuola dà un contributo di 1.500-2.000 euro: si risparmiano 5.000 euro.

(Paolo Rossetti)

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