Oggi si vota la sfiducia a Ursula von der Leyen. I destini della maggioranza Ursula sembrano essere legati a quelli della Grande coalizione tedesca
Mentre si attendono sviluppi sul fronte dazi, oggi al Parlamento europeo è in programma il voto sulla mozione di sfiducia a Ursula von der Leyen presentata da Gheorghe Piperea, membro dell’Ecr. L’esito appare scontato: non ci saranno voti sufficienti per approvare la richiesta. Ma, come ci spiega Guido Gentili, si tratta in ogni caso di una votazione importante, per più di una ragione.
«Non va dimenticato – sottolinea l’ex direttore de Il Sole 24 Ore – che è passato poco più di un anno dalle elezioni europee e la Commissione si è insediata lo scorso dicembre. Dunque, si tratta di una sorta di verifica che, per quanto abbia un esito scontato, ricorda l’esistenza di un nodo ancora irrisolto: la Commissione non cammina a una velocità adeguata rispetto ai problemi che si sono accumulati nell’Ue e che la von der Leyen aveva detto che avrebbe cominciato subito a risolvere».
Ci sono alcuni di questi problemi irrisolti che pesano di più sulla Presidente della Commissione?
Quelli relativi alla transizione green e al rischio deindustrializzazione dell’Ue non solo rafforzano i partiti all’opposizione in Europa, ma sono alla base delle difficoltà di un settore importante come l’automotive. Essendo tedesca, la von der Leyen sa benissimo quale sia la posizione di Merz in merito e che se la Germania ha problemi di crescita una delle ragioni è che le correzioni al Green Deal che lei stessa aveva promesso ancora faticano a materializzarsi.
In effetti, la Germania ha grande spazio fiscale dopo la riforma del freno al debito con cui può varare aiuti di Stato ed effettuare investimenti nella difesa e nelle infrastrutture, ma ha comunque bisogno dei cambiamenti al Green Deal, allo stop alla vendita di auto con motori endotermici dal 2035…
Si può avere tutto lo spazio fiscale che si vuole, ma oggi nell’Ue la tenuta industriale è legata anche alle necessità di vedere cambiamenti nelle regole sulla transizione green.
La delega in materia è nelle mani della Vicepresidente Teresa Ribera, appartenente al gruppo gruppo S&D, che non esclude l’astensione nel voto di oggi.
Se ci fosse un’astensione totale del gruppo o di un numero nutrito dei suoi parlamentari, si tratterebbe di un segnale forte, che non cambierebbe il risultato della votazione, ma che potrebbe avere ripercussioni sul nuovo Governo tedesco. Di fatto una difficoltà politica della “coalizione Ursula” potrebbe rappresentare una mina all’interno della Grande coalizione Cdu-Csu/Spd.
Cosa potrebbe fare la von der Leyen in caso di “mal di pancia” dei socialisti per rafforzare la sua coalizione?
Certamente non deve seguire la traccia spagnola, cioè rincorrere le posizioni di Sanchez o Ribera. Anche perché non va dimenticato che il Governo di Madrid è in difficoltà e non è da escludere che si possa tornare a votare in Spagna nei prossimi mesi. Per rafforzare la propria coalizione deve rafforzare quella tedesca.
In che modo?
Come aveva promesso, deve rivedere il Green Deal in modo da aiutare l’industria. Il che avrebbe ricadute positive sulla Germania, oltre che sull’Italia. E anche rafforzare i rapporti con Roma potrebbe essere utile alla von der Leyen.
Nel caso di difficoltà della coalizione Ursula si potrebbe immaginare un “rimpasto” della Commissione?
Non so se istituzionalmente sia prevista questa possibilità. Forse si può immaginare una diversa attribuzione delle deleghe. Certo è che se un Commissario si dimettesse, allora potrebbe essere sostituito. Per esempio, se la Ribera decidesse di lasciare il suo posto per dare man forte al Psoe, in caso di forti difficoltà di Sanchez, allora potrebbe essere sostituita da un Commissario o da una Commissaria, sempre appartenente alla famiglia socialista, ma con una visione diversa da quella spagnola.
Quanto si gioca, invece, la von der Leyen nella partita dei dazi?
Si gioca molto, ma sappiamo quello che può fare e, soprattutto, quello che non può fare, nel senso che dovendo rappresentare 27 Paesi non ha la possibilità di negoziare “alla pari” con Trump, che già di suo è piuttosto imprevedibile. Vedremo in che modo si chiuderà effettivamente la trattativa, perché non è ben chiaro se quella che viene indicata come possibile base di accordo, ovvero una tariffa del 10%, valga per tutti i beni e servizi oppure se vi saranno delle esenzioni o ancora delle penalizzazioni per specifici settori, visto che il Presidente americano ha parlato di dazi fino al 200% per la farmaceutica.
Alla fine, sul risultato finale della trattativa sarà la Commissione a doverci mettere la faccia. Ed è facile immaginare che ci saranno Paesi o settori scontenti. Come se la caverà a quel punto la von der Leyen?
Per lei l’importante è non fare scelte che vadano contro gli Stati membri che contano, a cominciare da Germania, Francia e Italia. Penso che realisticamente farà un accordo politico con questi Paesi, magari includendo in questa intesa il capitolo compensazioni alle aziende o ai settori più penalizzati da dazi.
(Lorenzo Torrisi)
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