Si è tornati a parlare dal Meeting di Rimini di un Patto sociale, che appare però difficile da realizzare vista la posizione della Cgil

Nel dibattito politico il Meeting di Rimini si è appropriato del ruolo che in altri tempi svolgeva la Festiva nazionale dell’Unità: quello di riaprire il confronto politico dopo la pausa estiva a partire dalla manovra di bilancio nell’autunno.

Oggi la Festa dell’Unità si svolge in ambiti più ristretti, anche perché il Pd non riesce a mobilitare quel lavoro volontario indispensabile per il buon esito dell’iniziativa e che, invece, rappresenta tuttora il patrimonio del Meeting. Poi le Feste del Pd si sono trasformate in un evento domestico, riservato agli addetti ai lavori, agli amici degli amici, all’equilibrismo (un vero e proprio manuale Cencelli) tra le diverse aree interne che si parlano addosso. È pertanto comprensibile che a Rimini si ritrovino le più importanti personalità della politica, dell’economia, della società italiana e internazionale.



Peraltro, mentre i Festival dell’Unità si sono riconvertiti ai c.d. nuovi diritti (quegli stessi che il Pci di una volta definiva come “lussi borghesi”), al Meeting si è parlato di lavoro e di welfare. In particolare va segnalato l’esordio a Rimini di Daniela Fumarola, eletta Segretaria generale della Cisl da pochi mesi, la quale ha posto al centro del suo intervento tre parole che nella cultura della sua organizzazione indicano la via maestra che un sindacato deve seguire: concertazione, partecipazione e contrattazione.



Daniela Fumarola (Ansa)

Per dare concretezza a queste scelte politiche, ha aggiunto Fumarola, occorre unire le forze per arrivare a un nuovo Patto sociale tra Governo e parti sociali per dare risposte a lavoratori, pensionati e famiglie, ricordando che “per un sindacato responsabile il conflitto è l’ultima arma da mettere in campo”. 

Agli osservatori delle vicende sindacali di certo non è sfuggita la musica che la Cgil, in occasione dell’Assemblea generale del luglio scorso, ha suonato su di un diverso spartito.

In sostanza, la Cgil ha già tracciato un calendario parallelo all’iter della Legge di bilancio che ripercorrerà le consuete tappe destinate a sfociare in uno sciopero generale, tra metà novembre e metà dicembre, a cui probabilmente si assoceranno gli ascari della Uil, come è avvenuto, in modo rituale e ripetitivo, negli ultimi quattro anni.



Il Governo se lo aspetta e sa che sarebbe inutile cercare di evitare la mobilitazione, per cui punta a fare approvare nei tempi previsti la Legge di bilancio, mentre la Cgil punta a proclamare lo sciopero.

Per Maurizio Landini occorre rendere “chiara e visibile la possibile alternativa alle politiche portate avanti dal Governo”. Per questo la Cgil parte da una campagna “certificata” (?) di assemblee in tutti i luoghi di lavoro e di iniziative nei territori che raccolgano tutti i protagonisti della “rivolta sociale”per culminare in una manifestazione nazionale a Roma a metà ottobre.

Quindi, invita tutti i sindacati europei a dar battagliare contro il ritorno dell’austerità e il piano di riarmo Ue, a difendere i Fondi di coesione e la Pac, a sostenere le politiche espansive con investimenti e politiche industriali europee alimentate da risorse comuni, che dovranno anche tutelare i lavoratori delle imprese minacciate dalla guerra commerciale scatenata dall’Amministrazione americana.

Il sindacato si preoccupa anche della riforma della giustizia e del referendum che ne seguirà, evidenziando l’impegno contro un disegno che, se venisse portato a termine, comprometterebbe l’equilibrio e il bilanciamento dei poteri previsti dalla Costituzione. Così la Cgil si schiera con l’Anm. Dio li fa, poi li accoppia.

Dunque, in queste condizioni, come potrà la Cisl cercare di unire le forze con tutti i soggetti riformisti per cercare di aiutare a dare le risposte che il Paese richiede, anche attraverso il suddetto Patto sociale?

In realtà, non è solo un problema dell’organizzazione di via Po, ma dell’ordinamento democratico del Paese, che per funzionare ha bisogno che ogni istituzione svolga il suo ruolo nel rispetto di quello altrui. Ormai la Cgil è un soggetto in transizione dal sindacalismo alla partitocrazia. Non perché il sindacato non possa e non debba agire come un soggetto politico che porta avanti un’originale e autonoma visione del futuro, ma non può farlo in organica sinergia con le forze dell’opposizione, lavorando con esse al solo scopo di rovesciare la maggioranza che ha vinto le elezioni e che governa legittimamente.

Le leggi riconoscono al sindacato diritti che gli consentono un’ampia agibilità politica e un potere, anche organizzativo ed economico, di mobilitazione che non spettano ai partiti politici (che tra l’altro hanno provveduto a suicidarsi in pubblico, rinunciando alle loro prerogative). Se un sindacato si presta a uno sviamento dei poteri che gli sono attribuiti per metterli al servizio di un disegno partitico vengono a mancare i presupposti di un confronto ordinato ed equilibrato, ancorché dialettico.

La Cisl non può fare un patto sociale da sola, deve cercare delle alleanze nel tradizionale autonomismo sindacale con l’obiettivo di divenire una forza maggioritaria nel mercato del lavoro. Certo sarebbe una navigazione in mare aperto. Ma la Cgil sta già facendo rotta in direzione del sindacalismo di base.

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