La Cisl continua a chiedere un patto di responsabilità tra le forze sociali e il Governo. C'è da chiedersi se sia possibile raggiungerlo
Nei percorsi di aggiornamento e formazione che ho frequentato nella mia vita lavorativa, in particolare corsi di perfezionamento sulle attitudini e capacità negoziali, ho imparato che qualsiasi transazione, accordo o intesa tra diversi interessi in gioco consiste sempre in un compromesso tra diverse questioni (salario, welfare, orario di lavoro e altre condizioni normative, perché di questo mi sono sempre occupato), un equilibrio tra quello che tu persegui, quello a cui tiene l’altro e, come terza dimensione, le cose su cui ci si mette d’accordo.
Negli accordi, in particolare sindacali, c’è sempre questa triplice forchetta di interessi composti e da qui la possibilità di valutare quando si combina l’equilibrio dei diversi fattori per realizzare l’intesa, quando sono mature le condizioni per considerare soddisfacente il complesso dei risultati raggiunti.
Questa dinamica è applicabile solo quando le parti desiderano raggiungere l’intesa, quando lavorano per perseguirla, quando ritengono che sarebbe peggio non raggiungerla e ciascuno andare per la propria strada.
Proviamo ad applicare questa griglia di valutazione, questo criterio di giudizio alle vicende sindacali in materia di lavoro, a una decisione nell’area politica, ai rapporti tra gli Stati (mi vengono in mente i dazi commerciali!), nelle diverse materie oggetto dell’iniziativa diplomatica, via maestra e silenziosa per tracciare percorsi condivisi o, perlomeno, strade percorribili con il silenzio assenso, tutte formule ammesse e utili nelle questioni che appaiono divergenti.
Com’è tristemente noto per tutta l’umanità, e per ciascuno di noi, l’assenza di negoziati prevede la presenza di guerre e conflitti con la soppressione di vite umane! La guerra è la strada che si persegue per raggiungere risultati, con costi molto elevati per tutte le persone coinvolte.
La lunga premessa è determinata dalla necessità di rispondere alla domanda che mi è stata posta da alcuni redattori di questo quotidiano: ma perché la Cisl insiste nella propria (solitaria) richiesta di costruire un patto di responsabilità tra le forze sociali e il Governo, con Confindustria e le altre associazioni dei datori di lavoro, i diversi sindacati e la Presidente del Consiglio, unitamente ai Ministri interessati?
Come si fa a fare un patto se è solo una delle parti che lo desidera, in quanto è notorio che allo specchio ci si può solo rimirare come singoli? E soprattutto come farlo, almeno come primo tassello, in occasione della Legge di bilancio 2026, da discutere in Parlamento entro la fine dell’anno sulla base del Dpfp?
La domanda è legittima e opportuna, nel momento in cui la questione è posta con forza e da tempo da Daniela Fumarola, Segretaria generale della seconda confederazione per numero di iscritti, strada indicata anche in recenti interviste sui media nazionali, e in particolare con un articolato intervento con il gruppo dirigente della Cisl lombarda negli scorsi giorni a Cavenago di Brianza. Il Governo, Confindustria, Cgil e Uil, per citare alcuni tra i maggiori protagonisti, perseguono il medesimo obiettivo o ritengono di acquisire risultati utili per sé e per i propri interessi rappresentati attraverso altre strade?
La risposta può avere diverse sfumature e può dipendere anche dalla “congiuntura” dei rapporti politico istituzionali che si intendono avere.
Il Governo ha fornito le prime indicazioni e ha convocato le Parti sociali nei prossimi giorni e lì si potrà valutare che strade si percorreranno; tenuto conto dei vincoli e dei parametri economici noti(procedure d’infrazione, valutazione dei rating, necessità di ridurre ulteriormente deficit e debito), vedremo se le misure annunciate per sostenere un’inversione della denatalità, l’aiuto alle famiglie, meno fisco sul lavoro e più risorse alla sanità, sostegno agli investimenti privati (transizione 5.0 e Industria 4.0, caro energia), rigorosità sulle procedure del Pnrr, per stare solo ad alcuni macro temi, se tutto ciò si tradurrà in provvedimenti e misure condivisibili dai diversi attori.
Vedremo se Confindustria e le diverse associazioni d’impresa si accontenteranno di provvedimenti non esaltanti (ma comunque a sostegno delle imprese) o se preferiranno stare alla finestra senza proferire ciglio e attendere le mosse di altri attori, nella logica di non essere all’opposizione ma di non poter siglare intese che possano scontentare qualche categoria merceologica al proprio interno.
Vedremo se la Cgil in particolare, dopo aver già proclamato una manifestazione contro la manovra per il prossimo 25 ottobre, è sulla strada di un ulteriore sciopero generale a novembre, nella logica che con gli avversari politici non si firma nulla, cultura che pervade da decenni questa organizzazione ovvero se anche ci avessero presentato mele d’oro su un piatto d’argento non avremmo potuto accettarle (Trentin con il Governo Craxi, 1984)!
E vedremo cosa farà la Uil, in questa fase di smarcamento dalla Cgil ma forse non ancora sufficiente per costruire intese con il Governo di centrodestra.
E che farà la Cisl?
Se si adotteranno i provvedimenti annunciati su salari, pensioni, fisco e produttività, Fumarola e i suoi dirigenti valuteranno se sussistono le condizioni per aderire a un primo tassello di patto sociale o se invece le misure saranno insufficienti e contraddittorie. Stiamo parlando della riduzione dell’aliquota Irpef dal 35 al 33/32% fino a 50 o 60.000 euro, come segnale al ceto medio ovvero quella fascia sociale che alimenta una parte consistente del gettito (circa 10 milioni di lavoratori e pensionati).
Vedremo se si adotteranno defiscalizzazioni per sostenere il lavoro “scomodo”, contribuendo a innalzare la produttività, l’utilizzo degli impianti e il salario reale e concreto (lavoro notturno, domenicale, festivo, tredicesima per lavoratori e pensionati, qualcuno dice anche gli straordinari?). Vedremo se verrà rilanciato il sostegno al welfare aziendale e integrativo, orientato in particolare a sostenere la conciliazione vita e lavoro, oltre alla già citata natalità.
In questo senso, se sussisteranno le condizioni vedremo chi ci sta o non ci sta a consolidare un clima di collaborazione e cooperazione tra tutti gli attori sociali, assumendo responsabilità verso tutto il sistema Paese.
Se invece la Cisl non dovesse intravedere le convenienze rispetto alle richieste, in parte unitarie con gli altri sindacati e in parte frutto delle proprie elaborazioni interne, valuterà il da farsi nei propri organismi. E nella sua tradizionale autonomia assumerà le decisioni di merito. E il tema sarà se il compromesso richiamato all’inizio sarà sufficientemente suffragato nei risultati del confronto che si sta avviando o se invece la posta in gioco non presenta materia sufficiente per realizzare intese.
Sicuramente la strada non sarà quella delle pregiudiziali ma solo di una valutazione di merito, senza escludere, se fosse necessario, iniziative di pressione e mobilitazione sociale orientate a raggiunger condizioni migliori.
La Cisl non collaborerà, tuttavia, ne sono certo, a incendiare piazze e a incattivire il clima del Paese, pur nelle strettoie che la storia riserva a organizzazioni chiamate, nel corso del tempo, ad assumere posizioni impopolari. Difficile quando nel Paese si assiste a polarizzazioni di estremismo in una parte importante della sinistra, proporzionali all’involuzione populista di gran parte della destra. Le forze autenticamente riformiste non possono allora dare la sensazione dell’immobilismo, le strettoie della storia impongono comunque l’assunzione di iniziative utili a indicare cosa serve realmente al Paese.
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