Proseguono gli incontri tra Confindustria e sindacati, ma c'è il rischio che la prima finisca per fare il gioco delle opposizioni

Per usare un linguaggio forbito potremmo definirli “scrocconi”, ben consapevoli del fatto che nei Bar Sport della provincia profonda userebbero un termine che ha a che fare con i deretani.

Intendiamo riferirci alle c.d. parti sociali e, segnatamente, alla Confindustria e alle tre confederazioni storiche, le quali – al riparo del frastuono che confonde le menti di un’opinione pubblica ormai allo sbando tra vecchi odi e nuove solidarietà, impegnata a invadere le piazze senza che i lavoratori svuotino le aziende quando vengono chiamati a effettuare tre scioperi generali nell’arco di una settimana per accompagnare la crociera di qualche centinaio di attivisti strabici, incapaci di inquadrare i problemi correttamente – con delegazioni al massimo livello stanno esaminando la possibilità di presentare al Governo un quadro di proposte concordate con riguardo alla manovra di bilancio.



L’operazione dovrebbe procedere un passo dopo l’altro, a partire da una valutazione del Dpfp. Leggendo il documento si osserva come la politica economica del Governo si posizioni un po’ a metà tra una linea di cautela sul versante dei conti di finanza pubblica e un mix di tagli alle tasse e alle spese più incentivi alle imprese di ispirazione dal lato dell’offerta, mentre quello della domanda non è quasi per nulla considerato. È lo stile di Giorgetti, fanno notare gli economisti.



La bassa crescita ipotizzata, pur in presenza di un mercato del lavoro particolarmente performante negli ultimi anni e una reputazione sui mercati finanziari vicina ai suoi massimi, sembrerebbe lasciar intendere che il Governo consideri quel livello di crescita come “il potenziale” che l’attuale società ed economia italiana possono produrre.

Una società e un’economia “anziane”, con una demografia estremamente sfavorevole (la variabile esogena del problema) e una politica industriale non certo all’avanguardia (questa variabile è un po’ meno esogena e forse andrebbe affrontata con più decisione) non riescono a tenere il passo di economie più giovani e più orientate alle nuove tecnologie.



Fonte: Pexels.com

Si insiste sugli investimenti pubblici e questo è un bene. Ma con la fine dei fondi Pnrr si pone un’alternativa netta: o si è in grado di mantenere il livello di investimenti attuale, grazie all’Ue che crea il famoso Pnrr 2, oppure si punta sul canale del capitale privato.

L’impatto della manovra si dispiegherà anche attraverso una rimodulazione delle differenti voci e componenti della spesa. In particolare, con la manovra si darà luogo a una ricomposizione del prelievo fiscale riducendo l’incidenza del carico sui redditi da lavoro e si garantirà un ulteriore rifinanziamento del fondo sanitario nazionale.

Inoltre, al fine di dare continuità agli interventi approvati dal Governo, saranno previste specifiche misure volte a stimolare gli investimenti delle imprese e a garantirne la competitività. Inoltre, verranno preservati gli investimenti pubblici finanziati con risorse nazionali, i quali sono attesi mantenersi su un livello medio pari al 3,4% del Pil, al di sopra di quello riferito agli anni del Pnrr.

Si procederà, infine, nel percorso di incremento delle misure a sostegno della natalità e della conciliazione vita-lavoro. Tenuto conto che la manovra dello scorso anno ha reso strutturali fondamentali misure come quelle relative alla riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro, le missioni internazionali, il rinnovo dei contratti pubblici e ha finanziato, in misura rilevante, il livello del finanziamento del fondo sanitario nazionale e ha previsto la costituzione di fondi per gli investimenti e per la ricostruzione, la manovra 2026-2028 finanzierà interventi per un ammontare medio annuo di circa 0,7 punti percentuali di Pil.

Concorrerà al finanziamento della manovra una combinazione di misure dal lato delle entrate e, per circa il 60%, di interventi sulla spesa; questi ultimi tengono conto dell’andamento del monitoraggio e dei relativi cronoprogrammi di spesa.

Come si collocano le forze sociali di fronte a questa impostazione che prevede interventi molto modesti da conciliare con l’incremento delle spese per la difesa? La Cgil vive già altrove. Il Segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ancora ebbro per la “straordinaria settimana di mobilitazioni per la Palestina che ha portato in piazza oltre tre milioni di persone in tutta Italia”, ma non ha affatto conseguito importanti adesioni agli scioperi, è in fregola per la manifestazione annunciata dal sindacato per il 25 ottobre dal titolo “Democrazia al lavoro”.

Una manifestazione,  afferma Landini, “che mettiamo a disposizione di tutti, a partire dalle associazioni della Via Maestra che assieme a noi in questi anni hanno fatto questo cammino, proprio per indicare quella che è un’altra agenda economica e sociale che deve essere messa in campo”.

Maurizio Landini (Ansa)

Tutto si tiene in Corso Italia 25, a partire dalle istanze dei pacifisti. Spiega infatti Landini: “Credo che sia assolutamente importante che questa lotta in nome del popolo palestinese, ma soprattutto in nome della pace, si colleghi anche alle scelte di politica economica e sociale che in questo Paese devono essere fatte. Stiamo dicendo no alla politica del riarmo – ha aggiunto -, stiamo dicendo che è necessario dare risposte ai problemi che le persone vivono, a partire dalla questione salariale, a partire da una vera riforma fiscale, a partire da politiche di investimento serie che affrontino il problema della sanità pubblica, della scuola pubblica e della politica industriale.

E soprattutto della cancellazione di quella precarietà e di tutto il sistema dei subappalti che stanno in realtà rendendo povere le persone, che hanno aumentato anche gli infortuni e le morti sul lavoro. Mai come adesso – ha aggiunto – la lotta per la pace, la lotta per il lavoro, la lotta per la democrazia sono un tutt’uno”.

Chissà se Emanuele Orsini se la sente di sottoscrivere un documento comune con questi contenuti? Almeno la Confindustria non si perde come la Cgil nei vaniloqui del suo leader, ma va al sodo: “Noi oggi abbiamo chiesto – ricorda Orsini – 8 miliardi per i prossimi 3 anni. Stiamo interloquendo, vediamo un po’ perché ancora oggi i capitoli di spesa non sono chiari»” Dal canto suo, la Cisl, il sindacato che non ha dimenticato il suo mestiere, continua a inseguire l’obiettivo del patto sociale, in perfetta solitudine, perché la Uil non ha ancora terminato il percorso di affrancamento dalla Cgil.

In sostanza, crediamo che gli incontri non arriveranno a nulla, a meno che la Confindustria non sia disponibile a condividere una posizione che possa essere usata dalle opposizioni come critica del Governo anche da parte del mondo dell’impresa. Ma oggettivamente non si vede perché mai viale dell’Astronomia dovrebbe fare, gratis, un favore alla sinistra politica e sindacale.

Comunque vada a finire, questa metodologia è viziata in partenza. Per essere serie le parti sociali dovrebbero stringere accordi su quanto è a loro disposizione per risolvere i problemi del Paese, a partire da un incremento della produttività, della qualificazione professionale e delle competenze.

Come disse John Kennedy nel suo straordinario discorso di insediamento: “Non chiedetevi cosa può fare il vostro Paese per voi, chiedetevi cosa potete fare voi per il vostro Paese”. Ma erano altri tempi.

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