Rapporti Israele, ricostruzione, elezioni a settembre: mons. Hanna Jallouf, vicario apostolico di Aleppo, racconta la Siria del dopo Assad
Nel Paese, soprattutto in certe zone, c’è bisogno di tutto e la ricostruzione non è ancora iniziata, anche se i servizi come l’acqua e la luce cominciano a funzionare meglio. D’altra parte, in Siria, racconta Hanna Jallouf, vicario apostolico di Aleppo che ha partecipato al Meeting di Rimini, occorre ricominciare da capo a tutti i livelli.
La presenza in Hayat Tahrir al Sham (HTS), la formazione che sostiene Al Sharaa, di diversi gruppi non è garanzia di un orientamento unitario: i rapporti della comunità locale con il governo sono improntati al dialogo, ma c’è sempre il pericolo che qualche testa calda prenda iniziative autonome che non rasserenano il clima.
In questo contesto, i cristiani vengono rispettati, ma temono comunque l’avvento di un governo islamizzato. Il Paese, intanto, si prepara alle prime elezioni che si svolgeranno a settembre.
Secondo l’ONU, ci sono 16 milioni di persone che in Siria hanno bisogno di aiuto. Qual è la situazione del Paese adesso?
Purtroppo, nel sud della Siria i drusi sono ancora in una situazione precaria e non hanno da vivere, sono al verde in tutti i sensi. Questo succede nella zona dei drusi e dei cristiani. I beduini hanno già quasi chiuso tutte le strade per portare gli aiuti. Speriamo che venga aperto qualche corridoio comunitario. C’è bisogno di beni di prima necessità.
I rapporti con il governo, adesso, come sono? La disponibilità al dialogo che è stata mostrata fin dall’inizio, almeno formalmente, continua?
Piano piano si vede qualcosa di concreto, specialmente con noi cristiani. Ci sono comunque tante difficoltà dovute al vecchio regime e ai suoi seguaci. Poi ci sono gli sciiti, gli Hezbollah: non tutti vogliono la stabilità del Paese. Corriamo ancora qualche rischio. Il governo, comunque, sembra intenzionato a realizzare uno Stato improntato alla convivenza civile. I rapporti con l’esecutivo restano buoni.
Vengono ancora segnalate violenze come quelle che hanno caratterizzato gli ultimi mesi?
Per il momento è tutto tranquillo, però c’è sempre qualche testa calda che vuole fare a modo suo e che si fa promotore di certe manifestazioni o azioni. Della formazione che sostiene il governo fanno parte molti gruppi provenienti da diversi Paesi, ognuno dei quali ha le sue idee.
Ci sono già dei segnali che la ricostruzione è in corso?
Perché nasca un bambino ci vogliono nove mesi; un Paese così non può essere ricostruito in poco tempo. Prima si preparano i progetti, poi si trovano le risorse e, infine, si realizzano. Qualcosa si sta muovendo, comunque, nel campo dei trasporti, dell’elettricità, dell’acqua: questi servizi cominciano a funzionare meglio.
Sono in corso trattative per un accordo con Israele: c’è il pericolo reale che voglia allargarsi e prendere una parte della Siria?
Non credo. Quello che speriamo è che si arrivi a un accordo di base per tutto il Medio Oriente, così avremo una pace sicura e duratura per tutti: per la Siria, ma anche per Israele, per il Libano e per tutta l’area. Certo, l’intesa fra Siria e Israele è un elemento fondamentale: quando firmeranno un accordo di pace, penso che anche gli altri seguiranno la stessa strada.
In Siria si stanno concentrando gli interessi di molti: la Turchia, gli Stati Uniti, alcuni Paesi del Golfo che hanno annunciato investimenti. Quanto influiscono sullo sviluppo del Paese e quanto lo condizionano?
Chi ha i soldi comanda. E chi vuole aiutare ha il suo prezzo: tutti aspirano a un pezzo della torta e ognuno vuole averne una parte per sé. Vale per la Turchia, l’Arabia Saudita, il Qatar, l’America, anche per i Paesi europei. Lo stesso si può dire per la Russia e l’Iran. Bisogna cercare di concordare tutto con tutti.
A settembre ci saranno le prime elezioni del dopo Assad: saranno veramente democratiche?
Si prova e si vede. C’è già qualche partito che ha annunciato la sua presenza, però la maggior parte non ha un progetto vero e proprio. Devono ancora definire cosa fare. A livello governativo tutto è stato distrutto, bisogna ricominciare da capo a tutti i livelli, nelle commissioni come nei partiti.
Al Meeting ha parlato della presenza dei cristiani in Siria. Come stanno vivendo questo momento di passaggio? C’è un effettivo pericolo che si riduca troppo la loro presenza?
Penso di no. I media, internet e gli altri canali di comunicazione diffondono tante notizie false e anche i cristiani si impauriscono. Bisogna essere capaci di discernere la verità di ciò che viene detto.
Aleppo, dall’esterno, sembra una delle città più tranquille, anche dal punto di vista del rapporto con le altre religioni. I cristiani non si sentono minacciati?
No, non sono minacciati, anzi, vengono rispettati, anche se la paura di un governo islamizzato rimane. Ci sono stati solo degli episodi isolati. Bisogna avere la pazienza di ricostruire. Piano piano si può andare lontano, anche se non so se arriveremo o no. C’è bisogno di fiducia e anche del sostegno della comunità internazionale, che faccia pressione sul governo, tenendo d’occhio le sue iniziative.
(Paolo Rossetti)
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