Ha quasi 100 anni, è uno dei massimi pensatori moderni e padre del “pensiero complesso”: si chiama Edgar Morin, è francese ed è uno dei filosofi agnostici che maggiormente si è interrogato in questo tremendo periodo di pandemia mondiale sul valore e l’insegnamento che l’umanità può trarre dalla catastrofe del coronavirus. Ha più volte parlato di nuova ecologia umana, introducendo quella formula di “nuovo umanesimo” che in maniera diversificata viene esaltata e richiesta dalla Chiesa di Papa Francesco ma anche da diversi leader politici europei, non da ultimo il Premier Giuseppe Conte. «Stiamo vivendo una tripla crisi: quella biologica di una pandemia che minaccia indistintamente le nostre vite, quella economica nata dalle misure restrittive e quella di civiltà, con il brusco passaggio da una civiltà della mobilità all’obbligo dell’immobilità. Una policrisi che dovrebbe provocare una crisi del pensiero politico e del pensiero in sé» spiega Morin in una lunga intervista all’Avvenire a firma Alice Scaloja.
Secondo il pensatore quasi centenario, il mondo oggi ha bisogno di un umanesimo rigenerato che attinga sorgenti all’etica: «la solidarietà e la responsabilità, presenti in ogni società umana. Essenzialmente un umanesimo planetario». Un cristianesimo “svuotato” di Gesù si direbbe in altri termini, come spesso ha rimarcato il monito d’allarme di Papa Ratzinger negli anni del suo Pontificato contro il rischio di un umanesimo “ateo”. Eppure nelle considerazioni di Morin davanti alla tragedia del coronavirus si scorge un’umanità ferita che razionalmente non riesce a spiegarsi il perché di questa epoca: «Il caso interviene spesso, ma è la complessità dei fattori che operano nella storia a modificarla di più, avvenimenti che fermentano e lavorano sulla realtà», sostiene ancora il filosofo e sociologo francese che stima moltissimo Papa Francesco, pur definendosi sempre un «pensatore agnostico».
EDGAR MORIN, TRA ECONOMIA E NUOVO UMANESIMO
Morin non ha certo in mente il discorso in Parlamento del Premier Conte prima della fase 2 del suo Governo (dopo lo strappo di Salvini nello scorso agosto, ndr) eppure in certi punti lo ricalca, chiedendo per l’Europa del post-coronavirus un nuovo umanesimo che possa condurre l’umanità verso una fase di pace e solidarietà. C’è un “però” che aleggia e che rischia secondo Morin di recare autodistruzione: «Penso possa esserci devastazione, ma non vedo la distruzione della specie umana. La storia insegna anche come a un certo punto tutto sembri crollare, la romanità per esempio; poi da un processo multisecolare scaturisce qualcosa di nuovo e rivoluzionario». Secondo il filosofo francese il mondo di oggi può immaginare un avvenire con forze catastrofiche che lo indeboliranno – come il coronavirus – ma la verità «è che non vi è mai certezza»; per questo motivo Morin ribadisce quanto scritto già più volte nei suoi saggi, «l’improbabile» (potremmo dire anche «l’imprevisto») è il vero motore dell’ottimismo per il futuro.
«Io ci credo. Ma non so quale improbabile possa comparire oggi. Nella storia umana, comunque, i due inconciliabili ma inseparabili nemici che sono Eros e Thanatos continueranno ad affrontarsi, e Thanatos non riuscirà a distruggere Eros né Eros a eliminare Thanatos. Ognuno a turno prenderà il sopravvento. Oggi i più forti sono Polemos e Thanatos, ma non c’è eternità nella storia». L’imprevisto può salvare ed è la sola speranza, diceva Eugenio Montale in “Satura” eppure da quell’alveo di umanità riempita dalla fede in Chi quell’imprevisto ha saputo incarnarlo (il Cristo), Morin sembra rimanere comunque distante, «non riesco a vederlo oggi» ripete. Come ha appena ricordato nella Santa Pasqua Papa Francesco, visto da Morin come un esempio anomalo e positivo di questi nostri tempi, la speranza di Gesù è ben diversa dall’umanissimo ma insufficiente «tutto andrà bene»: «Immette nel cuore la certezza che Dio sa volgere tutto al bene, perché persino dalla tomba fa uscire la vita», ripeteva il Santo Padre nella Veglia del Sabato Santo.