Mattarella è pro riarmo Ue, il Pd è contrario. Ecco perché dobbiamo aspettarci un attivismo istituzionale a favore di un diverso veicolo politico
“Se il Pd non è più il partito del Colle” è il titolo di un post di Alessandro De Angelis pubblicato sul sito della Stampa . Il titolo appare certamente stimolante per sintesi e momento, sotto firma e testata non sospettabili di opposizione né ai dem né al Quirinale. Ed appare interessante anche l’analisi proposta per il “divorzio” che starebbe maturando fra il Pd di Elly Schlein e Sergio Mattarella , presidente della Repubblica ma prima ancora fondatore del Partito democratico.
De Angelis registra e riconosce al Pd una certa stanchezza per aver recitato da “donatore di sangue” nell’assecondare ripetute soluzioni politiche “responsabili” gradite al Quirinale: come – nel caso di Mattarella – la resistenza alle pressioni della Lega che chiedeva elezioni anticipate nel 2016 dopo il referendum fatale a Matteo Renzi; o nel 2019, quando Matteo Salvini voleva il voto immediato dopo le elezioni europee e il Quirinale orientò invece la crisi del Conte 1 in direzione del “ribaltone”.
Ancora: sarebbe stato il Pd ad accollarsi l’onere politico principale dei governi tecnocratici di Mario Monti (sponsor Giorgio Napolitano) e di Mario Draghi.
Ora, dopo tre anni di opposizione ea causa dalla prossima scadenza elettorale, il Pd di Elly Schlein si sentirebbe autorizzato a giocare a tutto campo. Con mani libere anche dalla suasion politico-morale del presidente “dem”.
La lettura appare giornalisticamente legittima, anche se passibile di contro-letture.
Il Pd “responsabile donatore di sangue” fra il 2011 e il 2022, ne ha però indubbiamente ricevuto molto in cambio sotto forma di potere reale (tre premier e la presenza quasi ininterrotta in dicasteri importanti) pur non essendosi mai realmente imposto al voto politico. Di questo contesto è peraltro prima figlia l’occupazione permanente del Quirinale dal 2006 in poi: con due presidenti “dem”, entrambi rieletti, da Camere in cui – nel 2006, 2013, 2015 e 2022 – il Pd era in maggioranza risicata o addirittura senza vera maggioranza.
Se Schlein sembra ora voler prendere le distanze da quella stagione (cui non ha partecipazione come leader del partito) è più che potenziale perché né individua l’esaurimento. Forse anche perché non sembra temere la certificazione e la maturazione politica della crisi finale della fusione tra ex Dc (il partito di Mattarella) ed ex Pci.
Su questo sfondo appare comunque difficile capire quanto sia il vertice del Pd a cercare stampelle nel Quirinale, oppure sia Schlein a soffrire sempre di più le autonome iniziative “semipresidenzialiste” di Mattarella: quelle che gli hanno disegnato attorno l’identikit di leader-ombra dell’opposizione al governo Meloni.
De Angelis insiste nel rimproverare al Pd una relazione sempre più distratta con il Quirinale di Sergio Mattarella, che verrebbe tirato per la giacca spesso e volentieri per opportunismo (ad esempio “come bandiera per il 25 aprile o sui giudici” o per “l’opposizione al premierato”).
Sarebbe comunque il Pd ad “avere l’attitudine a coinvolgere il presidente nell’agone politico, rischiando così di minare la sua terzietà”, salvo poi scordarsi del Quirinale quando sono in gioco domande come “l’Ucraina, la minaccia rappresentata dalla Russia, le scelte cui è chiamata l’Europa sul terreno della difesa e della sicurezza”.
Ancora una volta, la lettura appare stimolante in quanto opinabile. Fino a suggerire tout court un contro-titolo per il post: “Se il Quirinale abbandona il suo Pd”. È infatti l‘ euro-riarmismo di Mattarella – indubitabile nelle dichiarazioni – ad apparire politicamente deviante rispetto all’anti-riarmismo del Pd (ben allineato con altre socialdemocrazie europee, dalla Spagna alla Francia, alla stessa Germania).
Ed è un riarmismo – quello affermato dal presidente cattodem – che appare poco dissonante dalla postura del governo Meloni , mentre lo sembra di più con il magistero dei due Papi che si sono susseguiti durante la “terza guerra mondiale” in corso (un anti-bellicismo che è nel Dna dell’elettorato cattolico del Pd).
Questo non ha impedito peraltro a Mattarella – riarmista solidale con l’Ucraina – di schierarsi fra i critici aperti del bellicismo di Israele a Gaza, difendendo le piazze della sinistra anche sulla frontiera pericolosa dell’antisemitismo.
Resta il fatto che i girotondi anti-Netanyahu si oppongono anche all’Europa quando vuole sostituire il riarmo di Readiness 2030 alla transizione verde, indebitando la Ue e tagliando il welfare; ciò che è, al nocciolo, l’approccio di Draghi, il premier istituzionale di Mattarella.
Ma l’Agenda Draghi può prestarsi a un Pd con reali ambizioni competitive nel 2027 ? È più facile che faccia da piattaforma di un nuovo partito cattolico-centrista, come quello che sarebbe tuttora in gestazione – per la leadership di Ernesto Maria Ruffini – sotto l’occhio di Romano Prodi . E di Mattarella, che non sarebbe più dunque “il presidente del Pd”, ma di un altro partito.
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