Da venerdì le homepage dei grandi media Usa sono inondate dalle rivelazioni del “select committee” della Camera dei Rappresentanti sui fatti del 6 gennaio 2021. Il panel bipartizan ritiene di avere molti elementi per affermare che Donald Trump, allora presidente uscente, abbia avuto parte attiva nell’assalto al Campidoglio. Che sarebbe stato quindi un vero e proprio tentativo di golpe, volto a rovesciare il risultato del voto di due mesi prima, favorevole a Joe Biden.
Molta meno visibilità – in assoluto molto poca – testate leader oltre Atlantico com New York Times e Washington Post hanno dato a un’altra importante notizia di venerdì, quando l’autorevole Indice mensile dell’Università del Michigan ha segnalato la fiducia di consumatori americani ai minimi dal 1981. Le ragioni sono le stesse di 41 anni fa: l’inflazione. Allora i prezzi salivano in America a un ritmo annuo a due cifre per l’onda lunga degli shock petroliferi; oggi si vanno impennando all’8,6% annuo per ancora per il caro-petrolio, ma soprattutto per i rialzi iperbolici del gas. Ed egualmente per la pressione geopolitica della guerra in Ucraina oltreché per i postumi (anche speculativi) del Covid sulla catene di rifornimento globali.
Biden, per la verità, non sta eludendo l’emergenza-prezzi: cui la popolarità della Casa Bianca – piombata sotto la linea rossa del 40% – appare inversamente proporzionale. “L’inflazione è colpa della guerra di Putin”, ha detto il Presidente, mentre il prezzo della benzina in Usa ha superato per la prima volta i 5 dollari al gallone. Ha ammesso forse per la prima volta che la guerra in Ucraina è “madre” almeno congiunturale del brusco e generalizzato rialzo dei prezzi. Un’analisi peraltro ambigua e discutibile: l’inflazione è tecnicamente effetto delle sanzioni russe imposte alla Russia dagli Usa e da tutti i Paesi Nato accodati. E poi il prezzo del gas è andato in rally già sei mesi prima che l’Armata Rossa puntasse su Kiev: fra manipolazioni da parte dei giganti russi e scommesse speculative del mercato; certamente comunque nel silenzio della Casa Bianca e dell’Ue.
Eppure, ha confermato proprio venerdì sera Biden, i servizi d’intelligence occidentali – e non da ultimo il Presidente ucraino Volodymyr Zelesnky – erano perfettamente informati dei preparativi d’invasione di Putin. Il segretario al Tesoro Usa Janet Yellen (ex presidente della Fed) si è nel frattempo assunta le sue responsabilità per “errate previsioni” sull’inflazione. Un presa di posizione a sua volta ambigua: non è chiaro se Yellen si sia riferita a (suoi) errori di previsione macro-economici oppure a reazioni erratiche da parte della Casa Bianca alle mosse del Cremlino.
Resta la narrazione mediatica dei grandi media dem-centrici. La priorità delle priorità, nella democrazia americana, rimane dunque la caccia allo Stregone: a Donald Trump. Gli americani non dovrebbero preoccuparsi della perdita di potere d’acquisto (di salari già bassi), ma di partecipare alla crociata “dem” per cancellare Trump dalla faccia della politica Usa: per impedirgli di ripresentarsi alle presidenziali 2024. Dovrebbero anzitutto confermare il loro voto a Biden nelle elezioni midterm di autunno. Per questo “the show will go on”: con audizioni live del Jan 6 Panel, interminabili report, commenti più o meno social.
Guerra a Trump in America e al suo “bad twin” Putin in Europa. Con gli elettorati europei chiamati alla compattezza nello “scontro fra civiltà” E l’inflazione è un costo accettabile da pagare per lanciare magari la candidatura “familista” alla Casa Bianca della moglie di Barack Obama: quella che fallì nel 2016 alla moglie di Bill Clinton. Ma la ricetta è scritta: transizione energetica hard ed “export di democrazia”. Con la stessa decisione con cui l’Urss pianificava l’economia a cadenza quinquennale e imponeva il proprio modello ai Paesi dell’Est Europa.
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