Le due fuoriuscite di Rackete e di Belloni dai rispettivi ambiti istituzionali non sono assimilabili. Tranne che su un punto: la mancanza di chiarezza
Elisabetta Belloni e Carola Rackete non hanno nulla in comune. Salvo, adesso, l’essersi dimesse quasi nelle stesse ore dai rispettivi incarichi in Europa, a sorpresa e con largo anticipo. Entrambe facendosi paravento di rituali “motivi personali”. Ambedue quando Ursula von der Leyen – di cui l’ambasciatrice italiana era Chief Diplomatic Adviser – è sulla griglia dell’europarlamento, dove la “capitana” tedesca è stata eletta soltanto un anno fa deputata per Die Linke, la formazione di sinistra antagonista che a Strasburgo è all’opposizione della Commissione Ue.
Il contesto – quello di un’Europa in crisi e mutazione epocali – spinge ad appuntare assieme due scelte certamente non collegate, al di là del timing. Riguardanti comunque due figure pubbliche molto note all’Italia odierna, anche se per motivi diversi.
Il nome di Belloni – prima donna ad essere nominata capo della diplomazia italiana e quindi coordinatore-capo dei servizi d’intelligence a fianco di due premier – è stato ventilato tre anni fa per la Presidenza della Repubblica e da lunedì è subito rientrato nel gossip politico interno.
Rackete è stata invece protagonista del clamoroso sbarco in stile militare a Lampedusa della Sea Watch 3, nave di una Ong tedesca carica di migranti dal Nordafrica. Nel luglio di sei anni fa – nei giorni in cui i leader europei insediavano la prima “Commissione Ursula” – la Capitana poté tornare immediatamente libera in Germania e non fu mai perseguita.
Finì invece sotto processo il vicepremier italiano, Matteo Salvini, che da ministro dell’Interno aveva ordinato di bloccare la nave ai confini marittimi italiani ed esterni europei.
A differenza del curriculum di brillante civil servant di Belloni, quello della Capitana è sempre stato poco leggibile. La figlia di un alto ufficiale della Kriegsmarine che sperona una motovedetta militare in un porto italiano ricompare nel 2024 nelle liste europee di un partito post-comunista, radicatissimo nell’ex Germania Est della super-votata destra di AfD.
Rackete viene eletta a Strasburgo assieme all’attivista antagonista italiana Ilaria Salis, arrestata e condannata in Ungheria per reati di piazza da “black bloc”; ma ora – a dodici mesi dall’insediamento – getta bruscamente alle ortiche l’incarico istituzionale di europarlamentare eletta.
E così facendo sottrae oggettivamente un voto – sulla carta indubbio – contro la fiducia alla sua connazionale (popolare) a capo dell’Esecutivo Ue. Una figura controversa sembra aggiungere così un altro capitolo opaco alla propria vicenda politica, iniziata in Italia all’indomani di una schiacciante affermazione della Lega nel voto europeo.
Il “divorzio” di Belloni da von der Leyen è stata sicuramente più trasparente, anche nelle voci in incompatibilità con il gabinetto della presidente della Commissione, ma ancora una volta contesto e spessore politico del passaggio non sono emersi con immediatezza.
L’addio della diplomatica italiana è uno dei tanti sommovimenti di un establishment globale terremotato dall’avvento di Donald Trump? La tecnocrate decollata in Italia sotto l’ala di Pd, M5s e Quirinale prepara un impegno politico?
Ad esempio – ipotizzano già alcuni osservatori – sulle orme di Mario Monti, che da tecnocrate Ue si trasformò prima in premier istituzionale e infine in neo-leader politico di un contenitore centrista che al voto 2013 raccolse un non disprezzabile 10 per cento.
Merita forse un’ultima annotazione, almeno cronologica, il fatto che l’assalto di Lampedusa aprì di fatto il ribaltone di governo del 2019. Mentre la Capitana attaccava Salvini, l’Ambasciatrice (nominata da Matteo Renzi e Paolo Gentiloni) presidiava la Farnesina che Sergio Mattarella aveva tenuto fuori dal controllo della nuova maggioranza M5s-Lega, affidando gli Esteri al tecnico europeista Enzo Moavero Milanesi.
In quel torrido agosto di sei anni fa, comunque, la politica italiana fu monopolizzata – sul versante delle relazioni internazionali – da una classica “transazione” voluta dal Trump, al suo primo mandato alla Casa Bianca. Fu lui a dare un placet decisivo a “Giuseppi” Conte nella sua giravolta a Palazzo Chigi, mettendo però subito all’incasso la cambiale.
Il ministro della Giustizia Usa, William Barr, volò a Ferragosto a Roma per raccogliere elementi riservati riconducibili al “Russiagate” in corso contro Trump a Washington, poi finito in nulla.
Al di là delle versioni ufficiali e delle indiscrezioni, alcuni profili del passaggio rimangono non chiariti. Vi sarebbero stati interessati soltanto i servizi d’intelligence, di cui peraltro il premier manteneva direttamente la delega di governo. La Farnesina non sarebbe stata invece coinvolta.
Solo due anni dopo Belloni sarebbe stata chiamata a capo del Dis da Mario Draghi, diventando centrale nei rapporti con gli spy chief occidentali nell’escalation politico-diplomatica sfociata nell’aggressione russa all’Ucraina.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
