I partiti dell'opposizione, tranne Azione, hanno deciso di presentare 16 emendamenti congiunti alla Legge di bilancio
Il cosiddetto “campo largo” dell’opposizione di centrosinistra ha dato un segno di vita in settimana su un tavolo teoricamente di primo livello come la manovra 2026. Sedici emendamenti – fra i 3.800 presentati in tutto dalle opposizioni in commissione Bilancio del Senato – sono stati firmati congiuntamente da Pd, M5S, Avs e Iv (non da Azione). Una mossa d’immagine che non è riuscita a bucare né siti né prime pagine, occhieggiando a malapena nel notiziario di routine. Esito non esaltante quando fra una settimana sono in calendario tre voti regionali (in Veneto, Campania e Puglia) dove il campo largo – pur a geometrie locali variabili – affronterà una prova importante.
Ma che il campo largo per primo abbia creduto poco anche a quest’occasione lo si è potuto intendere dal fatto che neppure il pacchetto degli emendamenti-doc sia risultato effettivamente condiviso e unitario. Si è trattato infatti di un montaggio di emendamenti che sono rimasti etichettati con le singole sigle di partito. In mancanza d’altro può essere tuttavia utile scorrerli per grandi temi: per cercare indizi di una piattaforma elettorale “ombra”, che agli elettori potrebbero forse interessare più della guerriglia già iniziata per la candidatura unitaria a Premier nel 2027.
Nel gioco delle parti è toccato a Matteo Renzi intestarsi a nome di tutti la richiesta di cancellazione del protocollo Albania, dirottando le risorse a sicurezza urbana e start-tax pro giovani. Un mix carpiato – forse un po’ troppo – ma non illogico fra politica estera e interna, fra diversi fronti migratori, fra politica industriale e sociale. Senza comunque agitare cifre-chiave del budget in discussione.
Nel complesso gioco di squadra della “sinistra larga” il Pd ha puntato anzitutto sul potenziamento del fondo sanitario nazionale, con un focus sull’assunzione di personale. Una scelta poco eccepibile quando il peggioramento della sanità pubblica ovunque nella penisola è forse il fronte più problematico per la maggioranza di governo all’inizio virtuale di una lunga campagna elettorale. Il dossier sanitario resta sulla carta un cavallo di battaglia annunciato per i dem che oggi osservano sulla riva del fiume Maurizio Landini agitarsi per Gaza o per la democrazia in pericolo.
Non appare banale neppure la richiesta Pd di proroga previdenziale per Opzione Donna: a maggior ragione quando le pensioni anticipate restano – nella memoria recente dell’elettorato – un attrezzo nella cassetta della Lega. Se ne sento l’eco anche nella proposta condivisa più netta (più “landiniana”) inserita nel pacchetto da M5S, ex senior partner della Lega nel Conte-1: la soppressione dell’aumento dell’età pensionabile nel comparto sicurezza (vi risuona un po’ della battaglia in corso all’Assemblea nazionale francese sulla sospensione della riforma previdenziale “simil-Fornero”).
Su questo versante è percepibile una tensione – fra attenzione ai parametri Ue e spinte anti-rigoriste – comune peraltro alla maggioranza (e al confronto politico in sede Ue e all’interno di Paesi come Francia e Germania).
Sembra dotata di articolazione tecnico-politica anche la proposta Pd di restituzione del “drenaggio fiscale”. In parole letteralmente più povere l’emendamento punta il dito sull’inflazione importata in ormai quattro anni di crisi geopolitica. È un modo per collegare un punto di sofferenza socioeconomica reale e trasversale nel Paese (bollette energetiche e svalutazione di redditi e risparmi) con la storica inquietudine dell’opposizione sullo schieramento ininterrotto del Governo nel fronte Nato a supporto dell’Ucraina. Ma forse proprio per questo – in giorni delicatissimi a Kiev – una presa di posizione simile è stata tenuta ancora una volta a mezz’aria, senza contorni marcati.
Più classica e focalizzata – sul piano strettamente tributario – l’ipotesi M5S di una sensibile estensione della no tax area. “Far pagare meno tasse ai meno ricchi” – almeno stando alle dichiarazioni dei redditi – è un succedaneo rovesciato di un’imposizione appesantita o addirittura patrimoniale contro “i più ricchi”. Landini la sbandiera nelle piazze antagoniste (forse lo farà anche in quelle dello sciopero generale indetto contro la manovra per il 12 dicembre); ma vestendo ancora i panni di leader della Cgil più che di candidato-ombra alla guida del campo largo. La patrimoniale la vorrebbe l’estrema sinistra Avs, ma il suo emendamento ad hoc non è stato accolto fra quelli “larghi”.
Certamente poco “landiniana” – e in sé abile – è la proposta pentastellata di ripristinare gli stanziamenti di “Transizione 4.0”. Benché la rivisitazione M5S dell’originaria “Industria 4.0” sia sempre stata opaca – e molto riverniciata di verde – l’ultimo go-and-stop del Governo in manovra sugli incentivi industriali ha fatto notizia: e rilanciato i sospetti – mai sopiti in tre anni nel mondo imprenditoriale e puntati anzitutto verso la premier e la sua “destra sociale” – di scarsa sensibilità per l’Azienda-Paese.
Molto ortodossi – ma non per poco significativi – appaiono infine i due emendamenti “larghi” messi sul tavolo da Avs: la stabilizzazione dei precari nel settore della giustizia (con una strizzata d’occhi alla magistratura e quindi al referendum sulla riforma Nordio); e il rafforzamento del fondo di finanziamento ordinario per ricercatori e professori, un simbolico gesto di presenza sul terreno estesissimo degli italiani alle prese salari “sempre più bassi” (cit. Sergio Mattarella).
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